LOST
AT SEA (di Eric Minetto - Torino) |
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Sentii che un ritorno era impensabile...
Di sera, alla luce di un lume a petrolio, sul tavolo di cucina,
il dito duro e calloso del padre lo guidava, sulle carte nautiche,
in viaggi meravigliosi. E il suo dito di bambino, stregato da rotte,
fari, secche e nomi che bruciavano come lingue di fuoco sulle labbra
dei marinai, lo seguiva incantato. Pensava di imparare a partire
e andare lontano. Imparava qualcosa di ben più prezioso:
la strada di casa. Ogni sera, in quei viaggi simulati, il dito del
padre lo guidava sempre più lontano solo per istruirlo nell'arte
del ritorno. Questo, prima di qualsiasi altra cosa, erano i marinai
che raccontavano storie meravigliose giù al porto: ritorni.
Non avrebbe potuto trovare maestro migliore. Se esiste il gene del
ritorno, infatti, suo padre lo aveva. Apparteneva a quella categoria
di uomini che, naufraghi e soli su un'isola deserta, trovano sempre
la strada per tornare a casa, purché abbiano un coltello
e possano mettere le mani su un albero. Lui, il suo albero, l'aveva
già scelto. Se era ancora troppo piccolo per prendere la
strada del mare, era abbastanza grande, almeno, per scegliersi un
albero. A guardarlo bene, però, era già una promessa
di nave. Nel bel paese di Nuova Scozia, infatti, dove nacque in
una fredda località nella zona più fredda della North
Mountain, un freddo 20 febbraio, cresce il robusto "spruce",
adatto a fare costole di navi e col quale si sono costruiti bastimenti
di ogni tipo. Dalla cima del suo albero, come in cima alla coffa
di un veliero in tempesta, scrutava il mare. E sognava. Da quelle
parti i sogni si pagano in nasi blu (così vengono soprannominati
gli abitanti del luogo) e mani tagliate dal vento. Sogna più
a lungo chi resiste di più al freddo.
Lui sognava più di tutti. Nei giorni di nebbia i suoi
occhi, stretti a fessura, affondavano nel mare bianco, tra
i fantasmi di Melville. Con il bel tempo, invece, correvano
dietro alle baleniere fino all'orizzonte. Laggiù, oltre
la grande curva del mare, gli occhi cedevano il posto ai sogni.
E i sogni correvano come raffiche di maestrale. Forse fu allora
che, stretto al suo albero, giurò che per tutta la
vita li avrebbe inseguiti e che alla fine, lui e l'albero
della sua nave, come una cosa sola, li avrebbero raggiunti.
Diede un nome al suo sogno. Lo chiamò il raggiungimento
della felicità. Sognò di farlo proprio così:
stretto al suo albero. E sognò di farlo come nessuno
lo aveva mai fatto: Solo. Anche lui, come i vecchi marinai
del porto, sarebbe tornato. Anche lui, giù al porto,
avrebbe raccontato la sua storia ai bambini. Una storia, però,
che orecchie umane non avevano ancora ascoltato.
Non perse tempo.
A otto anni era già stato in barca nella baia assieme
ad altri ragazzi, con molte favorevoli occasioni per annegare.
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Da ragazzo fu cuoco di bordo su una goletta da pesca; ma non rimase
in cucina a lungo, perché alla prima apparizione del suo
famoso pasticcio di farina bollita, l'equipaggio si ammutinò.
Mi cacciarono prima che la mia arte culinaria si fosse veramente
messa in luce, scrisse con l'ironia che non lo abbandonò
mai. In seguito lo troviamo imbarcato come marinaio su una nave
a vele quadre che girò tutto il mondo. La miglior nave che
abbia mai comandato, avrebbe scritto molti anni dopo, fu la Northern
Light, una magnifica nave a vele quadre della quale ero comproprietario.
Quando la lasciai incagliata sulla costa del Brasile erano passati
vent'anni dal mio primo comando. In quei vent'anni inseguì
i suoi sogni in tutto il mondo: Cina, Australia, Giappone, Isole
delle Spezie. Viaggiò ovunque, come noleggiatore e trafficante,
sempre rincorrendo la curva del mare. E sempre tornando, come se
il dito del padre continuasse a guidarlo tracciando in cielo la
rotta del ritorno. Di notte, però, il vento tra i rami di
uno "spruce" della Nuova Scozia gli portava, in un sussurro,
il ricordo di una antica promessa.
Mancava ancora un passo.
Lo fece a Boston, nel 1892.
Erano tempi duri per i noleggiatori, e la mia vita, scrisse, non
era di quelle che t'inducono a indugiare sugli ormeggi a terra,
poiché di questa avevo quasi dimenticato gli usi e i costumi.
Vieni a Fairhaven e ti darò una nave, disse il destino,
travestito, per l'occasione, da vecchio cacciatore di balene.
La "nave" era un vecchio sloop chiamato Spray (Nessuna
traccia negli archivi portuali di dove possa essere stata costruita.
Un centinaio d'anni prima, dice la tradizione, era servito alla
pesca delle ostriche sulla costa del Delawere. La troviamo un tempo
a Noank, nel Connecticut, poi a New Bedford, e quando il capitano
Eben Pierce me la regalò, alla fine della sua vita naturale,
essa era puntellata in un campo a Fairhaven).
Da anni gli abitanti della zona si chiedevano che fine avrebbe
fatto quella vecchia carcassa dello Spray.
Lo demolisce, suppongo?, chiesero.
No, lo ricostruisco.
Renderà?.
Io risposi affermando che l'avrei fatto rendere.
Un segno di ciò che si preparava, il destino l'aveva
lasciato. Dalla coperta della barca, scrisse, mi bastava allungare
la mano per raccogliere le ciliegie che crescevano sopra la
piccola tomba di John Cook, un venerato Pilgrim father.
Fu così che il nuovo Spray nacque su terra benedetta.
Partì solo, o quasi, a caccia della felicità.
I suoi unici compagni erano una lanterna, una lampada a due
becchi - che di notte illuminava la cabina e di giorno serviva
da fornello - una sveglia di latta che costava un dollaro
e mezzo, ma gli fu venduta per un dollaro (a causa di un dettaglio
che lui parve trovare piuttosto insignificante: al quadrante
mancava una lancetta), e un albero.
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Non un albero qualsiasi, però, ma uno splendido "spruce"
del New Hampshire. Pochi credevano che sarebbe tornato. Solo una
persona, forse, gli credette davvero. Doveva essere sul molo, il
24 aprile 1895, a vederlo salpare l'ancora. Lo vide scomparire laggiù,
dove i sogni incontrano le balene, oltre la grande curva del mondo.
A posteriori, una sola cosa si può dire, e cioè che
per credergli doveva essere completamente pazza. Lui un po' doveva
esserlo. Tanto per dirne una, un giorno, dalle parti dell'Uruguay,
mentre a bordo di una piccola scialuppa di salvataggio filava un'ancora
di poppa, la scialuppa iniziò a imbarcare acqua. Fu solo
allora, scrisse, che ricordò, improvvisamente, di non saper
nuotare. A posteriori, solo una cosa si può aggiungere: che
nella vita, a volte, per avere ragione, bisogna essere completamente
pazzi. E infatti, tre anni, due mesi, due giorni e quarantaseimila
miglia dopo, non fosse altro che per darle ragione, lo Spray tornò:
Lascai la scotta della randa, e lo Spray poggiò verso le
mede luminose del porto interno. Finalmente vi entrò sano
e salvo, all'una del mattino del 27 giugno 1898). Ne era passato
di tempo, per tutti, tranne che per il suo strambo orologio. Quanto
all'invecchiare, scrisse, il quadrante della mia vita era ritornato
indietro, tanto che tutti i miei amici dicevano: "Slocum è
ringiovanito". E così mi sentivo, dieci anni più
giovane di quando avevo abbattuto il primo albero per la ricostruzione
dello Spray. E sembrò a tutti che la felicità, quell'uomo
e il suo albero, l'avessero raggiunta davvero. Dovunque la mia nave
navigasse, sono le ultime parole del suo diario di bordo, i miei
giorni erano felici.
Il viaggio, però, non era ancora finito.
Se esiste il gene del ritorno, infatti, anche lo Spray lo
aveva. Il centenario sloop non fu del tutto soddisfatto fino
a quando non lo riportai un po' più in là, al
luogo di nascita, Fairhaven nel Massachussets. Anch'io, da
quando come ho detto, ero ringiovanito, sentivo il desiderio
di ritornare nel luogo in cui tutto era cominciato. Perciò,
il 3 luglio, con vento favorevole, lo Spray fece un valzer
intorno alla costa e su per il fiume Acushnet fino a Fairhaven,
dove lo ormeggiai allo stesso palo di cedro piantato sulla
riva per trattenerlo al momento del varo. Non avrei potuto
riportarlo più vicino a casa di così, scrisse.
Nemmeno suo padre avrebbe saputo fare di meglio.
All'inizio di quello che passerà alla storia come il
primo resoconto di un navigatore in solitaria intorno al mondo,
c'è una dedica:
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A colei che disse: "Lo Spray tornerà".
E fino al novembre del 1909, lo Spray continuò a tornare.
Cosa accadde dopo, nessuno lo sa.
I marinai che raccontano storie meravigliose nei porti sono innanzitutto
ritorni, e lui non è tornato a raccontarcelo. Possiamo solo
immaginare. Forse ricordò troppo tardi di non saper nuotare.
O forse, è bello pensare, il mare e il suo strambo orologio
lo restituirono alla terra ogni volta più giovane e felice,
finché un giorno, seguendo il dito di suo padre nel cielo,
tornò dove era sempre stata la sua casa, solo che non la
trovò. Non era più casa sua. Per la prima volta in
vita sua, forse, sentì che un ritorno era impensabile. Forse
è questo che succede a chi raggiunge la felicità.
Non riconobbe nessuno e nessuno lo riconobbe tanto sembrava giovane
e felice. Solo colei che disse: "lo Spray tornerà",
sfiorandolo, pensò che quello straniero le ricordava tremendamente
qualcuno di cui solo lei, ormai, aspettava il ritorno. E forse,
ancora una volta, in un modo assurdo e meraviglioso, ebbe ragione.
Perché quando per l'ultima volta, nel luogo dove tutto era
cominciato, Slocum sciolse lo Spray dall'albero di cedro e lo guidò
in mare, in realtà non stava partendo. Tornava nell'unico
posto che ancora poteva chiamare casa. Così è scritto
alla fine di una lingua di terra bagnata dal mare della Nuova Scozia,
su una lapide che ho letto con le mani ghiacciate, il cuore a mille
e il naso blu:
In honor of
CAPTAIN JOSHUA SLOCUM
The first man to sail around the world alone.
April 24. 1895 to june 27.1898.
He was borne on North Mountain, february 20, 1844.
Lived at Westport until he went to sea in 1860.
The captain and the Spray were lost at sea in november 1909.
Lost at sea. Disperso in mare. Letteralmente: perso al mare.
O forse: ritornato.
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