FIJI 2006 |
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Fiji……
Basta il nome
di questo arcipelago perso nelle acque del Pacifico per evocare
avventure di marineria e immagini di paradisi esotici….impossibile non
lasciarsi tentare dalle innumerevoli citazioni letterarie e
cinematografiche che fanno delle isole Fiji uno dei luoghi ricorrenti
nelle fantasie di chi va per mare o di chi semplicemente ama il mare e
si lascia affabulare dall’infinita e sempre mutevole magia del
continente blu.
E lontane e favolose le Fiji lo sono davvero,
almeno per chi nasce bagnato dalle acque familiari del Mare Nostrum,
anche se al giorno d’oggi parlare dell’altro capo del Mondo non desta
più impressione di tanto, abituati come siamo ai voli
intercontinentali, alle navigazioni virtuali e alle comunicazioni
satellitari….è vero che il Mondo si è rimpicciolito…..ma raggiungerne
il capo opposto, specie se è una manciata di isolotti basaltici e
barriere coralline affioranti nel cuore del Pacifico, circa 1000
miglia a NE della Nuova Zelanda, resta comunque una questione di
tempo. In altre parole, anche il solo assaggio della navigazione alle
Fiji non è esperienza da liquidare in una settimana (esistono tariffe
Korean Air estremamente convenienti da Roma, ma 4 giorni se ne vanno
solo per il viaggio in qualunque caso), ma esige una degustazione più
rilassata. Due settimane sono il minimo preventivabile anche solo per
un’annusatina.
Detto questo, per tutti coloro che hanno una
lunga esperienza o hanno da poco ricevuto la chiamata che porta da
sempre i marinai a cercare orizzonti lontani, le Fiji sono un
esperienza di navigazione estremamente interessante. Ancor più per
Oceani che ha il privilegio di poter contare sulla esperienza di un
vero lupo di mare che ha alle spalle innumerevoli anni di navigazione
oceanica e di progettazione come quella di Franco Malingri. Inutile
dire che, come sempre e più di sempre, in mare si impara sempre
qualche cosa, ma certamente navigare con un eccellente maestro offre
anche ai più esperti moltissimi spunti di riflessione (e qualche
borbottio…..d’altra parte, nella migliore tradizione della marineria,
il comandante è e deve essere comunque un po’ “spiccio”….).
Natura e paesaggio
Le Fiji sono vere isole, non corrispondono certo
all’immagine dell’atollino di sabbia bianca coperto di palmette che
galleggia nella quiete di una laguna turchese. Anche se certamente
alle Fiji le lagune turchesi non mancano, l’arcipelago è costituito da
una collana di isole basaltiche, smussate dal lavoro del vento e
dell’acqua, disposte con poche eccezioni all’interno di un’enorme
anello corallino, che ne costituisce la barriera esterna e che
denuncia l’origine della maggioranza delle isole come rilievi
affioranti da un antico complesso vulcanico. L’incessante lavorio
edificatore del corallo ha fatto il resto, costruendo trine intricate
introno ad ogni isola, erigendo barriere spettacolari e insidiose e
scolpendo meandri di sabbia candida e rosata nelle acque protette con
il proprio scheletro ridotto in cipria sottile dalla forza del mare.
Sono isole relativamente spoglie, dove la roccia
dura lascia poco spazio alla crescita di una vegetazione
lussureggiante e dove, probabilmente, il vigore arboreo è stato in
parte fiaccato dallo sfruttamento degli isolani e dal dilavamento, con
lingue di spiaggia debitamente orlate di palme e, con poche eccezioni,
dorsi coperti di sterpaglia dove si fermano i bioccoli delle nubi che
fanno da strascico all’Aliseo.
I fondali di corallo sono un vero splendore,
scintillanti di colori e popolati da ogni sorta di creatura, con pesci
variopinti di tutti i tipi e panorami sempre mutevoli.
Nuotare nell’acqua trasparente sopra una
balaustra di acropore piena di minuscoli pesciolini che danzano
intorno al vostro naso come coriandoli di tutti i colori o scoprire un
intero repertorio di granchietti e stelle di mare camminando
semplicemente sul bagnasciuga quando la marea si ritira è sempre una
esperienza fantastica.
Pochi i pericoli reali, a parte qualche grattata
dovuta alla risacca (assolutamente da evitare perché le ferite da
corallo si chiudono molto malvolentieri), unica vera precauzione
quella di non toccare le creature urticanti (coralli o anemoni), ma
soprattutto attenzione (e totale ubbidienza ai consigli dello skipper)
nella raccolta delle conchiglie, che sono bellissime, ma possono
essere mortali (i conidi, e in particolare il bellissimo cono
“Geografico”, sono sempre dotati di arpioni velenosi che possono
essere estroflessi per raggiungere qualunque punto del guscio o mano
rapace).
Naturalmente gli uccelli marini non mancano
(gabbiani, fregate, sule dal becco azzurro) come non mancano
variopinti uccellini e trilli e gorgheggi tra i fiori del frangipane,
ma nei rossi tramonti equatoriali che si accendono e impallidiscono in
crepuscoli brevissimi, il cielo si popola di creature più insolite e
le volpi volanti, appese durante il giorno come strani frutti ai rami
alti, spiegano le ali al cader della sera per celebrare la luna e le
stelle.
E qui devo fermarmi e sospendere l’enfasi
narrativa, perché descrivere l’impressionante scintillio del cielo
quando entrambe le Corone sono visibili sull’orizzonte non è proprio
cosa, e certo supererebbe di gran lunga le possibilità del
relatore…andateci e vedrete!!
Bon ton e piccole questioni pratiche
Le Fiji non possono essere definite
eccessivamente popolose e molte sono le isole totalmente deserte. Il
turismo (soprattutto Neozelandese e Australiano) ha però generato un
certo numero di strutture turistiche sparse per l’arcipelago, la
maggior parte delle quali piuttosto spartane, ma non mostra ancora
segni di esplosione incontrollata (piccoli villaggi di bungalows poco
diversi dalle locali capanne funzionano come ostelli per backpackers o
alberghi a gestione locale, spesso di proprietà del capovillaggio/capoisola
o della sua famiglia).
Quando ci si ferma alla fonda vicino ad un
villaggio, il galateo locale richiede una visita di cortesia al capo,
la presentazione di un piccolo dono (tradizionalmente il dono è un
pacchetto di polvere di radice di CAVA macinata, che viene utilizzata
per produrre una bevanda leggerissimamente ipnotica) e la richiesta di
cortese concessione dell’autorizzazione a rimanere.
Appena meno piacevole, ma certo più pittoresco,
nella casistica degli eventi mondani a cui abbiamo avuto occasione di
assistere, è l’invito alla condivisione del dono in un Cava Party (a
cui non è proprio carino negarsi né farsi sostituire), perché la Cava
ha sicuramente un effetto soporifero così blando che evidentemente se
ne deve bere moltissima prima di riuscire a risentirne (nessuno di noi
ha rilevato alcuna sensazione), ma sopprattutto ha l’aspetto, la
consistenza e il sapore di un’acqua fangosetta e amarognola, per nulla
entusiasmante su palati viziati da Tocai e Brunello.
Comunque la cucina Fijana ha i suoi meriti e il
latte di cocco si sposa splendidamente con pesce, lime, riso e
peperoncino. Anche se quasi certamente a pagamento, una cena
tradizionale con brindisi di Cava finale è un esperienza che vale la
pena di fare, anche per aggiungere un po’ di varietà alla dieta.
Se fossimo britannici probabilmente potremmo
chiudere il capitolo cibo dicendo che non è facile trovare
integrazioni alla cambusa sulle isole, ma che è possibile pescare o
(molto più semplicemente) acquistare pesce dai pescatori (in qualche
posto, ma non sempre) o comperare scatolame e ananas negli spacci di
alcuni villaggi.
Essendo italiani, ovviamente No!!
Il pane si trova in pochi posti, qualche isolano
lungo il percorso può prepararne su richiesta, ma la cosa migliore è
panificare in barca. Sono ancora estasiata dal forno del Moana,
assolutamente a pezzi, ma magicamente perfetto per la cottura del
pane. Lieviti e farine si approvvigionano facilmente con la cambusa
principale. La pasta c’è, ma parmigiano (non fate i pidocchiosi con il
grana padano….un vero parmigiano regge meglio il viaggio), olio
d’oliva e caffè sono stati contributi preziosi alla cucina arrivati
con noi dall’Italia. L’acqua minerale va caricata e va riacquistata
strada facendo perché gli spazi sono limitati. L’acqua di servizio a
bordo è un lusso da centellinare, nessun problema per piatti e pasta
(l’acqua di mare è pulita e il sistema pompe molto efficace), ma è
meglio portarsi uno shampoo da usare con acqua di mare per la doccia e
sperare in qualche acquazzone, che peraltro non manca.
Un ultimo consiglio per l’abbigliamento, siamo
quasi all’equatore, ma il vento può essere fresco e può piovere. Non
dimenticate K-way o ceratina o un pile insieme a bermudini, pareini e
costumino, ma soprattutto l’acqua non è un brodo!! Pinne, maschera e
snorkel sono obbligatori (ma Franco ne ha una dotazione di bordo
abbastanza abbondante), ma una mutina leggera è consigliatissima anche
per gli snorklers senza ambizioni di profondità (se è lunga protegge
anche le ginocchia dalle grattate!!). Se si vuole provare l’emozione
del diving esistono alcuni (pochi e carissimi) centri che mettono a
disposizione attrezzatura e guide (il brevetto è un must), ma una
lunga pinneggiata con maschera e boccaglio sulle intricate
ramificazioni del reef non è meno entusiasmante per quantità e varietà
di organismi marini.
Note tecniche di navigazione e simili
Credo che i libri che parlano di navigazione tra gli atolli siano più
numerosi delle parole che userò in questo articolo.
Franco poi ci è stato maestro e sarebbe più giusto che questo articolo
lo avesse scritto lui.
Sia come sia, le mie note saranno quindi più quelle di un passeggero
che altro.
Tempo bello e caldo, copertura nuvolosa quasi perenne, venti
relativamente leggeri, acque calme…
Che cosa si vuole di più, in termini di tranquillità di navigazione?
Però… ce n’è sempre uno, di però.
Sotto la superficie dell’acqua si nasconde un ambiente così
radicalmente diverso dal nostro da suggerire molta precauzione, anche
senza aver ricevuto altri avvertimenti.
Tanto per cominciare, basta il tempo necessario a fare rifornimenti di
cibo e acqua per vedere che la marea è sensibile: un paio di barche
appena arrivate dalla Nuova Zelanda si sono trovate presto tutte
inclinate da un lato per non aver considerato questo fattore ed essere
entrate in porto con l’alta marea.
I reef
E’ proprio l’alta marea a nascondere i reef, quelle barriere coralline
tanto affascinanti per l’esplorazione subacquea e tanto pericolose per
la navigazione, che si svolge forzatamente e rigorosamente solo di
giorno.
Infatti i reef hanno al cattiva abitudine di modificare la loro
posizione e di crescere (o ridursi) negli anni con grande rapidità,
per cui non ci si può fidare delle carte nautiche neppure di giorno,
figurarsi di notte e con pochissimi fari attivi.
Poiché i reef si alzano quasi sempre verticalmente dal fondo, la bassa
marea porta allo scoperto la superficie della maggior parte,
soprattutto se il mare è mosso, facilitandone l’identificazione.
Non si creda però di poter navigare tranquilli con il GPS. È
certamente uno strumento molto utile, ma solo dove le carte sono
abbastanza aggiornate da riportare le posizioni geografiche corrette
(molte carte sono state compilate tempo addietro con l’aiuto del
sestante e non sono state aggiornate).
Soprattutto, non è detto che i reef abbiano avuto il buon gusto di non
variare la propria posizione.
Rimane solo un sistema: navigare a vista, tenendo ben d’occhio il
colore del mare e rimanendo nel blu più profondo.
Il mare, dove ci sono i reef, passa infatti rapidamente all’azzurro,
poi al verde e infine al marrone, secondo una scala di profondità
decrescente.
Attenzione, però: se il sole è di fronte il suo riflesso nasconde i
colori e allora bisogna salire almeno all’altezza delle crocette per
trovare il percorso giusto.
Beninteso, ci sono tratti in cui si può respirare e procedere con
tranquillità, ma non sono frequenti.
Gli ancoraggi
La necessità di navigare solo di giorno procura degli altri mali di
pancia: alcuni percorsi sono abbastanza lunghi da costringere a tappe
in luoghi dove non ci sono né porti (rarissimi) né rade protette. Ah,
dimenticavo di segnalare che, almeno alle Fiji, il vento non è affatto
costante.
E’ bene ascoltare i consigli di chi ha già esperienza dei luoghi e poi
consultare i portolani locali e scoprire in buon anticipo dove
fermarsi la notte, anche in funzione del tempo.
Trovato il posto, si tratta poi di ancorarvisi.
Mai e poi mai gettare l’ancora sui coralli! A parte l’evidente
stupidità del rischiare di finirci sopra in caso di rotazione del
vento, sono ambienti fragilissimi dove l’intervento umano (anche il
camminarci sopra) provoca danni persistenti e potenzialmente
disastrosi a intere zone.
Si cercherà quindi un tratto ben libero da essi: questo generalmente
significa acqua profonda, e quando si dice profonda si intende
qualcosa che può anche arrivare a 30-50 metri.
Franco usa un sistema fantastico per semplicità, sicurezza e
praticità.
Appennella con un grappino di sua invenzione (ma ne trovate la
descrizione sul suo libro “Moana”) legato con uno spezzone di grossa
cima all’ancora principale, che fila in sequenza mentre la barca
arretra lentamente o sulla spinta del vento o su quella del motore.
Fila una buona quantità di catena (vedete voi in funzione del fondale,
ma mai meno di 40-50 metri).
Poi quando si arriva a una decina di metri dalla fine della catena,
opportunamente segnalata, lega una cima di sicurezza alla catena
stessa, che a sua volta continua con una cima terminale.
Infine fila entrambe le cime in parallelo fino a raggiungere la
lunghezza desiderata per l’ancoraggio.
L’ormeggio è a prova di tempesta (sua lunga esperienza) e resiste
anche al discreto mare che può penetrare con l’alta marea la barriera
esterna che circonda gli atolli.
L’Oceano e le “passe”
Purtroppo non abbiamo navigato a lungo fuori della barriera, perché le
condizioni non lo consigliavano. Abbiamo fatto solo un tentativo
durato mezza giornata.
E’ stato però sufficiente a farci provare l’uscita dalla barriera e il
rientro in un punto dove il passaggio è aperto anche alle navi e
quindi privo di problemi.
Ebbene: le correnti sia in ingresso che in uscita e, nelle vicinanze
della “passe”, anche trasversali sono decisamente forti.
Basta davvero il tempo di un respiro perché una distrazione si tramuti
in tragedia. Noi stessi ci trovavamo a qualche centinaio di metri
dall’ingresso e distanti altrettanto, procedendo veloci sotto vela con
andature portanti, sembrava di essere quindi in tutta sicurezza, ma ci
siamo trovati ugualmente dannatamente vicini alla barriera, a poche
decine di metri, nel tempo di percorrere la distanza che ci separava
dalla “passe”. E questo senza quasi rendercene conto, se non
all’ultimo.
Vero è che eravamo sotto l’occhio vigile di Franco, ma non essersene
resi conto prima ci ha sgradevolmente sorpreso.
Conclusioni
Non vorrei che quanto scritto qui sopra faccia pensare che si fosse
sempre sull’orlo del disastro, tutt’altro.
La vacanza è stata splendida e rilassante anche dal punto di vista
velico.
Mi preme solo segnalare la necessità di grande prudenza e di un po’ di
umiltà anche in posti così eccezionalmente favorevoli alla vacanza.
Noi ci arriviamo da un aereo, dopo un viaggio che, seppure lungo per i
nostri standard moderni, è un battito di ciglia rispetto ai tempi
della navigazione a vela. Siamo perciò sempre e necessariamente un po’
fuori fase con i luoghi, soprattutto all’inizio, ed è bene che
prendiamo il tempo adeguato ad ambientarci e a prendere confidenza con
il mare e la gente.
Franco aiuterà anche in questo chi vorrà ripetere la nostra
esperienza.
Nicoletta e Nanni
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