NEW ENGLAND 2004 |
|
Carissimi amici che ci leggete,
eccoci di nuovo con il diario delle ultime avventure di Oceani 3000, in giro per i mari del Mondo.
Questa volta abbiamo il piacere di raccontarvi qualche frammento della nostra navigazione estiva lungo le mitiche coste del New England. Mitiche indubbiamente per tutti gli amanti dell'Oceano in quanto patria e area d'azione di alcuni tra i più celebrati protagonisti reali o letterari nella intera storia della marineria e mitiche per noi perchè sono da sempre nel nostro cuore di più modesti naviganti e perchè, già nel 2000, quando le abbiamo sfiorate lungo la rotta tra Boston e Halifax durante la regata delle Tall Ships, ne abbiamo respirato il profumo oltre la cortina della nebbia e non abbiamo mai smesso di desiderare di navigare nuovamente in queste acque.
Per darvene comunque un’istantanea più vivace e meno carica di citazioni nautiche e soprattutto per trasmettere a tutti voi la spontaneità di un punto di vista originale, abbiamo chiesto di raccontare questa vacanza alla nostra carissima amica Magda Guerra, che alcuni di noi hanno il piacere di conoscere da parecchi anni e con cui abbiamo avuto la fortuna di condividere più di una navigazione.
A beneficio di coloro che non hanno mai potuto godere della sua deliziosa compagnia e del suo spiccato sense of humor, vogliamo segnalare soltanto che, pur autodefinendosi una "passeggera" e non una velista, la nostra Magda è sicuramente una impeccabile compagna di navigazione e una persona piena di risorse ed il cui grandissimo amore per il mare e per la scoperta di posti nuovi e diversi la rende disponibilissima ad adattarsi senza problemi ai ritmi non sempre confortevoli dell'andar per mare.
Rispetto al programma originale apparso nelle News di Oceani, abbiamo leggermente modificato il nostro percorso, in funzione dell'alea metereologica che ci ha obbligato a qualche variante in loco, ma soprattutto alla luce della bellezza dei posti e della imperdibilità di alcune fra le mete più affascinanti di questo tratto della costa Nord Americana.
Il "Seyana", una signora dal passo elegante e dalle apprezzabili caratteristiche veliche (pur senza molte concessioni al confort e alle dotazioni di bordo), ci ha fedelmente trasportato nei nostri vagabondaggi tra Newport (RI) e i confini del Maine, nel corso delle due settimane di perlustrazione e delle oltre 350 miglia di navigazione.
DIARIO DI UNA PASSEGGERA CHE AMA IL MARE MA NON È UNA VELISTA
Un lunedì, finita la coda dell’uragano Charlie, si parte da Portsmouthdiretti verso il Maine lungo la costa atlantica. Scendendo lungo la baia di Narragansett passiamo sotto il Newport bridge, con la prospettiva impressionante del porto, dove si respira Coppa america e passione. La sera prima ci eravamo calati nelle atmosfere jamesiane della città vecchia e ammirato barche stupende in una concentrazione inconsueta per i canoni europei. Siamo anche saliti a bordo di “Orange”, enorme catamarano francese da competizione, prodotto della tecnologia applicata alla nautica, come i bulbi delle barche in secco nei bacini, che danno fisicamente l’idea della portanza e della velocità.
A Cuttyhunk si torna a dimensioni umane, con le case a mattonelle o listelli di legno, grandi segnavento a forma di pesce sulle chiesette battiste, cani dall’aria soddisfatta e panorami di isole e baie dai nomi indiani. E cominciano i fari, tanti, tutti bianchi e rossi con o senza casette davanti, essenziali e rincuoranti: ogni capo ha il suo.
Ci fermiamo per una notte a Elisabeth Islands dove prosperano le querce, lavate ogni notte dalla guazza, la stessa che non viene apprezzata in cabina di prua, quotidianamente allagata. Nelle radure cervi, cerbiatti e leprotti, sugli alberi martin pescatori, falchi ed aironi, in un ambiente idilliaco e riservato agli ospiti dei proprietari delle isole, su cui non si sbarca, anche se è consentito attraccare ai moorings al centro del canale interno.
Poi con l’aiuto di maree e correnti, seguendo il percorso segnato dalle boe, che scampananoallegramente sulle scie, arriviamo all’ora giusta al Canale, segnato all’ingresso da uno scenografico ponte mobile ad arco di trionfo ed entriamo nel gioco di gorghi ed acque ribollenti, che si incrociano nell’intero percorso sino alla baia di Cape Cod.
Puntiamo su Gloucester. Vediamo da lontano qualche soffio: sono due balene, che inseguiamo per un po’, anche se distanti ci riempiono di attesa. Ma non è un mare ricco di avvistamenti, vista la frequenza dei passaggi di fisherman, carichi di lenze ed i campi sterminati di nasse per le aragoste, segnalati da gavitelli piccolissimi e fitti, difficili da evitare di sera od entrando in porto.
Giuriamo di non mangiare lobsters per tutta la durata del viaggio, anche perché la nostra Nico non gradisce.
L’harbor master di Gloucester, gentilissimo ci spedisce lontano dal nostro primo ancoraggio,non abbastanza sicuro per il fango, ma intanto godiamo della vista dal mare della città, non dissimile a quella che doveva accogliere i capitani coraggiosi al ritorno dalla pesca del merluzzo.
Grande giro turistico alla scoperta delle casa dei capitani dell’800, tutte datate, e delle vie tranquille rimaste intatte con giardini curatissimi, scoiattoli e bandiere. Le bandiere sono dovunque: città o villaggi, campagne o cimiteri, finestre o pennoni, è tutto un fiorire di bandiere stelle e strisce.
Accanto al monumento ai marinai, tantissimi i nomi italiani, a poca distanza, vi è quello alle mogli rimaste sole ad allevare i figli, un omaggio non rituale al coraggio e alla forza d’animo.
Viene spontaneo pensare alla durezza della vita in un mare così ostile, con risorse limitate, in condizioni spesso avverse, eppure ancora oggi continua la tradizione ed il porto è pieno di pescherecci, con i grandi bracci a bilanciere, oltre alle barche degli onnipresenti coltivatori di aragoste.
La seconda mattina a Gloucester ci svegliamo nella nebbia al suono ritmato delle sirene delle boe e del faro. Per fortuna si solleva presto, ma le previsioni non sono buone, così ci presentiamo davanti a Rockport e Cape Ann e, senza fermarci, invertiamo la rotta diretti a Salem.
Un grosso temporale alle spalle ci spinge a correre verso il più accogliente porto interno di Boston.
Quando, tra lunghissimi lampi e pioggia battente, arriviamo al sicuro nel lungo canale d’ingresso, segnato dalle onnipresenti boe sonore, una ghirlanda di aerei a bassa quota, che attendono il permesso di atterrare, illumina la nostra testa d’albero come un lampadario di Murano.
Boston dal mare è una visione tridimensionale, tonda: manca solo la neve per renderla simile ad un’enorme palla di vetro.
Andiamo nei vecchi docks trasformati in centri accoglienti, con caffè, ristoranti e tanta gente in giro dove si respira un’atmosfera cosmopolita ed, in parte, europea.
Il giorno dopo è domenica ed è brutto.
Cambiamo attracco e siamo vicini alla USS Constitution, l’Ironside, la loro A.Vespucci, che visitiamo religiosamente, prima che un diluvio ci spinga al riparo del vicino museo navale, dove scopriamo una guerra, combattuta nell’800, contro i pirati tunisini, che ostacolavano il commercio navale nel mediterraneo. In questo conflitto completamente ignorato in Italia, di cui loro sono invece molto fieri, alla flotta americana fu offerto riparo nei porti del Regno delle due Sicilie.
A sera va meglio e attraverso le piccole case del vecchio quartiere italiano, seguendo il rosso “sentiero della libertà”, andiamo a vedere i luoghi dell’indipendenza e con l’occasione assistiamo alla break dance di una dozzina di danzatori acrobati,di tutte le età, allegri e comunicativi.
L’uscita dal porto ci offre vedute ravvicinate delle isole, vista la quantità di bordi necessari per arrivare in mare aperto, dove, con buon vento e qualche diversione in cerca di balene, ci avviamo velocemente verso Cape Cod, che doppiamo per ancorarci, come i padri pellegrini, a Provincetown.
Sorpresa! il Monumento ai Pellegrini è una copia del 1910, in granito, della Torre del Mangia di Siena e non è molto evidente il legame.
Facciamo il giro delle dune nel parco nazionale e vediamo pesci volanti e foche, che ruzzolano nella risacca, oltre alla consueta fauna, cui ormai siamo abituati: uccelli marini e piccoli roditori, che trovano rifugio nella vegetazione bassa e tra le erbe che ancorano la sabbia, rallentandone lo spostamento.
A Provincetown i pescatori venivano dal Portogallo e vi è il quartiere portoghese, con nomi e cucina tipica o almeno presentata come tale.
Sulla main street restiamo affascinati dal kitsch di un negozio di accessori per animali. Vi è tutto ciò che un proprietario folle può imporre al proprio cane, dal diadema in strass al parrucchino, molto Barbie style, poi teeshirts con cani e gatti di tutti i tipi, coperte, tappetini, fontanelle a forma di cane, oltre al consueto assortimento di cappotti, impermeabili ed altre amenità.
Lasciamo senza troppi rimpianti questo posto un po’ casereccio e molto affollato per riandare verso la costa, non a Plymouth sulle orme dei Padri, ma a Scituate, in un porto accogliente, dove godiamo anche di uno splendido tramonto. A riva passeggiamo sino alla punta del faro: le case sono deliziose piccole, tutte linde con piccoli annessi, dalle porte e (Antonino docet) finte persiane aperte, gialle, rosa, blu e fucsia sul bianco dei listelli di legno e sul verde dell’erba rasata. I gabbiani scendono in picchiata ed emergono con un granchio o una conchiglia, che lasciano cadere sugli scogli per romperli e poterli mangiare. I proprietari di fisherman puliscono le loro grosse prede e tutto ha l’aria molto rilassata.
Ripassiamo nel primo pomeriggio il Canale, per andare ad ancorarci ad Onset dalle bianche spiagge con un promontorio, che divide in due grandi bacini il porto. Dal nostro ormeggio godiamo di una vista incredibile dell’ingresso del Canale, attraverso capi e penisole divisi da canali interni, in un trionfo di rosso tramonto e di splash di uccelli in caccia della cena. Un falco si appollaia sui segnavento della barca accanto alla nostra e si sistema per la notte, mentre un altro, meno fortunato, si asciuga un po’, poi vola in cerca di appoggio.
Quando sbarchiamo il mattino dopo, costeggiamo un bosco in cerca del centro della città, guardati con sospetto: nessuno in America cammina a piedi, se non nella main street o vicino ad un parcheggio, anche se tutte le macchine si fermano per farti passare. Alla fine arriviamo alla nostra meta, ma è così lontana, che il Nanni viene a prenderci col tender, su cui ci sistemiamo con soddisfazione insieme alla spesa ed ammiriamo anche l’altra parte della rada , che lasciamo diretti a Chappaquiddick, dove troviamo posto proprio al margine della laguna. Giro d’obbligo col tender: acque basse e ribollenti nel gioco delle correnti,con cormorani dal collo rosso che spiano i pesci dai pontili ed aironi e falchi sugli alberi: Le case, importanti, hanno i tetti a carena rovesciata, grandi prati e boschetti sino al mare, si respira ricchezza ed amore per il mare, con barche splendide e barchini di tutti i generi, non necessariamente costosi.
Un ferry a rotaia porta due auto alla volta dalla stradetta che corre sulla linea di terra, che delimita la laguna, al pontile nel porto. Di lì il paese sembra piccolo, è molto curato,lustro e sofisticato, con persone ed oggetti raffinati esposti in negozietti minimalisti, che non sfigurerebbero in Costa azzurra o in Riviera.
La nostra meta successiva è Nantucket, il cui faro è legato al nostro immaginario delle navigazioni eroiche nei mari tempestosi. In realtà adesso il porto strapieno ospita enormi trialberi e superbi swan d’epoca, oltre a barche d’autore o no, che non necessariamente affrontano mari tempestosi e, comunque, non per le stesse ragioni del passato. A terra ammiriamo le case datate e l’impianto della città sette-ottocentesca. Uno dei più vecchi locali ci accoglie per il pasto e lo shopping fa parte dei gradevoli doveri sociali.
L’ultimo passaggio prima della riconsegna del Seyanaè verso Newport;con un percorso opposto
a quello dell’andata. Incrociamo una regata di una ventina di barche dagli spi multicolori ed assistiamo ad un paio di percorsi facendo un po’ di tifo per le prime. Il vento è buono e stimola anche noi. Ci infiliamo nelle baia tra Newport e Jamestown, filando tra punte ed isolette sotto il Pell Bridge ed il Mt. Hope Bridge sino ad Island Park, tappa finale della nostra navigazione.
L’ultimo giro a Newport conclude l’andirivieni tra le coste del Rhode Island , Massachusetts e New Hampshire, sino ai confini del Maine. Abbiamo avuto un’enorme fortuna con il tempo, goduto di tramonti, vedute, scoperte, toccato porti ospitali ed assaporato la libertà del viaggio.
Una conclusiva “prima volta”, difficilmente ripetibile, avviene l’ultima sera, alla fermata dell’autobus da Newport, mentre ci avviamo a piedi verso la barca. Un’ auto di pattuglia con uncortesissimo poliziotto ci accosta, ci valuta e ci offre un passaggio, particolarmente gradito visti i circa 3 chilometri da fare, ma ci sistema nella zona di coda , quella degli arrestati, con grata divisoria e, invece delle cinture, gli attacchi delle manette per mani e piedi. Il che ci offre un punto di vista diverso e molto divertente, anche se obiettivamente scomodo.
Il giorno dopo raggiungiamo l’aeroporto, via Bristol e Providence ed abbandoniamo con rimpianto Boston, meditando su un possibile non lontano ritorno.
QUALCHE APPUNTO DI NAVIGAZIONE
L'ambiente
La costa della parte del New England che abbiamo visitato si può distinguere in tre parti.
Da Newport al canale di Cape Cod è diretta verso ENE, è rocciosa e movimentata da numerosi fiordi, residuo delle lingue di ghiaccio dell’ultima glaciazione Di fronte alla costa si allunga una catena di isole, anch’esse basse e rocciose, che ne proteggono la parte più orientale.
A Sud di queste isole si trovano ancora Martha’s Vineyard e Nantucket, due isole più grandi e di natura sabbiosa e sedimentaria.
Dal canale di Cape Cod si stende una parte di costa diretta verso N, sabbiosa e bassa, fino al porto di Boston che è situato nell’estuario di diversi fiumi e protetto da numerose isolette rocciose.
Da qui fino a Cape Ann, subito oltre Gloucester, la costa riprende il suo andamento ENE ed è simile a quella che si trova intorno a Newport.
I fondali sono dappertutto piuttosto bassi, perché la piattaforma continentale si estende piuttosto al largo. In particolare, tra Cape Cod e le isole a Sud i fondali superano raramente la decina di metri.
Il tempo
Venti e maree sono più forti a N di Cape Cod, dove il dislivello di marea arriva a circa tre metri e i venti spirano con più frequenza da SW.
Abbiamo trovato un po’ dovunque tempo umido e pesante, ma raramente nebbioso come invece avevamo sperimentato nel 2000. In realtà la nebbia è più frequente man mano che si procede verso il Canada e infatti noi l’abbiamo trovata solo tra Gloucester e Cape Ann.
In generale abbiamo avuto venti abbastanza maneggevoli, inferiori a forza 5, salvo durante un temporale all’ingresso del porto di Boston.
La barca
Avevamo a disposizione un C&C 40, sloop canadese piuttosto diffuso nella zona. La barca è molto invelata e piuttosto morbida, tanto che l’ultimo giorno, dovendo bolinareper diverse ore contro un vento reale di 12 nodi circa, abbiamo preso una mano di terzaroli per non viaggiare costantemente con il trincarino in acqua. In compenso l’attrezzatura velica era piuttosto buona, benché quella inerente alla crociera fosse un po’ carente: il proprietario è un appassionato di regate “da gentleman” e non sembra abbia mai fatto vere crociere sulla sua barca.
Le manovre delle drizze erano a piede d’albero, la randa completamente steccata con due mani di terzaroli.
Avevamo un tender che ci siamo trascinati dietro (orrore!, ma aveva il fondo così sporco che ci siamo rifiutati di riporlo in coperta). Il motore fuoribordo era un 5 CV a benzina, di ottima affidabilità, che si calava e si issava per mezzo di una pratica gruetta.
Gli strumenti
In teoria avremmo avuto a disposizione tutto quanto potevamo desiderare. In realtà il log era da tarare, l’indicatore dell’angolo di bolina non funzionava e il radar ha smesso di lavorare dopo due giorni. I maggiori difetti stavano nella bussola di rotta, che non era compensata e segnava un po’ quello che voleva, e nella mancanza di bussola da rilevamento, compasso e squadrette.
Questi inconvenienti sono da mettere in conto e bisogna essere preparati all’evenienza, sapendo molto bene come fare navigazione stimata.
Ci siamo procurati un regolo e un compasso, ma la prossima volta viaggeremo con un kit da navigatore appresso…
Avevamo un GPS cartografico e uno manuale, che non abbiamo avuto bisogno di adoperare.
L’esperienza più notevole è stata l’interruzione casuale e ripetuta più volte del segnale del GPS, che mancava ogni tanto per ore intere. Non era dovuto allo strumento, che era ottimo, ma proprio alla trasmissione.
Questa esperienza mi è capitata ormai troppe volte per essere casuale e mi ha insegnato a rinfrescare le mia nozioni di navigazione stimata per avere una riserva.
I portolani e le carte erano completi, ma queste ultime di uso non facile. Avevamo infatti dei raccoglitori di carte preparati apposta per il diporto, ma la loro maneggevolezza andava a scapito della chiarezza. In particolare non è stato facile pianificare le tappe più lunghe perché dovevamo saltare da carte a scala troppo piccola a carte con scala troppo grande. Il GPS cartografico era chiaro epratico, ma come sempre ne abbiamo potuto utilizzare solo le funzioni più elementari: preferivamo navigare che fare un corso di informatica…
Le indicazioni dei portolani invece erano piuttosto complete e accurate. Un po’ meno, talvolta, quelle sulle maree.
Le esperienze più interessanti
Abbiamo navigato in 12 giorni per un totale di circa 450 miglia, di cui più della metà a vela. I venti sono stati per lo più leggeri, una volta lasciato passare la coda di un uragano che ci ha abbondantemente bagnati ancora nel porto di partenza. Lo stato del mare era abbastanza mediterraneo, salvo il colore, la temperatura e, un paio di volte, le onde contro la corrente che assumono un aspetto ripido e per noi abbastanza inusuale; ma non hanno mai superato il metro e mezzo.
Non abbiamo avuto gravi problemi, se si eccettua qualche robusto gocciolamento in cuccetta, dovuto soprattutto alla forte condensa, e un iniziale uso imperfetto del gabinetto e della sua vasca di raccolta che ci ha costretti a una pulizia non programmata della sentina.
Abbiamo dovuto prestare grande attenzione ai gavitelli che segnalano le nasse per le aragoste che erano dappertutto, coprendo, come nell’avamporto di Gloucester, ogni spazio possibile e costringendoci a volte a veri slalom. Questo è un grosso rischio, soprattutto se non si dispone di attrezzi per tagliare le cime (l’acqua è piuttosto fredda!). Noi non abbiamo avuto questo problema, ma con visibilità scarsa penso che sia inevitabile finirci addosso.
Un altro problema inatteso è stata la rifrazione dell’aria dovuta all’acqua fredda: le numerose boe rosse e verdi (attenzione al segnalamento che segue il sistema IALA B, con verde e rosso invertiti rispetto a noi) alte un paio di metri e sparse un po’ dovunque, soprattutto tra Cape Cod e Nantucket, sparivano sotto l’orizzonte a circa un miglio e mezzo di distanza. Anche l’isola di Nantucket che ha edifici alti sull’acqua diverse decine di metri, a dieci miglia di distanza non era ancora visibile col tempo chiaro, vento leggero e mare calmo.
Avendo problemi a conoscere la nostra prua (colpa della bussola di rotta, come si diceva prima) non eravamo in grado di determinare con precisione la forza e la direzione della corrente, che è un elemento importante, specie proprio vicino a Nantucket, dove i fondali sono costellati di bassifondi. La cattiva reperibilità delle boe faceva il resto. Penso che navigare da queste parti con la nebbia debba essere un incubo per chi non ci è abituato, se gli mancassero il GPS e il radar. E’ comunque indispensabile un continuo controllo e il “sesto senso” dello skipper sempre all’erta. Questo ci ha permesso di evitare una scogliera sommersa, nonostante i trucchi prodotti dalla rifrazione, una certa nebbiolina e un arresto temporaneo del log.
Problemi di altra natura sorgono se si desidera passare in alcuni canali che accorciano notevolmente la distanza da percorrere.
Poiché se ne trovano in serie, spesso non è possibile passarli tutti in stanca di marea. Se la corrente è forte, e può succedere che superi i 6 nodi in qualche punto, è bene premunirsi con tutte le precauzioni. La visibilità può ridursi in un attimo, come nella Pianura Padana, si può aspirare uno straccio o delle alghe nella presa a mare del motore con la sua conseguente fermata, si possono incontrare enormi chiatte rimorchiate a notevole velocità, ecc.
Noi abbiamo affrontato il più difficile dei passaggi, Woods Hole, stretto e a zig zag con una corrente di circa 3 nodi e visibilità ottima. Non credo che l’avrei tentato in condizioni peggiori, tanto più ora che l’ho visto. Avevamo ad ogni buon conto preparato anche l’ancora in coperta…
Ecco, l’ancora non è quasi necessaria perché si trovano boe d’ormeggio (obbligatorie) dappertutto. Tuttavia dovrebbe essere pesante e con una buona quantità di catena perché quando serve non si può scherzare, al contrario di quella che avevamo noi…
Tutti i porti dove ci sono boe hanno un servizio di lancia di cortesia (con buona mancia) per andare a terra, sempre disponibile.
A Boston abbiamo invece potuto ormeggiarci in banchina direttamente in centro, con costi adeguati al luogo, ma con servizi ottimi.
Non ci è stato permesso di navigare di notte per via delle regole assicurative. Però non abbiamo sofferto della cosa perché i posti sono carichi di storia americana e vale la pena vederseli con calma. Inoltre il programma iniziale di muoversi verso il Maine avrebbe comportato il rischio di dover rientrare con venti contrari: la prossima volta, volendo visitare il Maine, è bene partire da più a Nord e dirigersi prima verso SW per poi rientrare coi venti portanti.
Conclusioni
Volete navigare per conto vostro nel New England? Nessun problema se si rimane in acque protette, e ce n’è in abbondanza anche nei fiordi intorno a Newport o a Boston. Può essere un’occasione per cominciare a fare esperienza. Un po’ più difficile uscire in mare aperto: non è garantito che si presentino sempre le buone condizioni che abbiamo incontrato. Anche per noi, che da anni facciamo esperienze in posti nuovi, è stato necessario usare molta prudenza.
Se c’e un consiglio da dare è andarci per la prima volta con qualcuno molto esperto o che c’è già stato. La seconda volta si potrà allora contare sull’esperienza della percezione fisica dei luoghi e sulla conoscenza delle regole fondamentali di comportamento.
|