VANCOUVER (BRITISH COLUMBIA) 2005 |
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NOTE TECNICHE
Il tratto di mare tra la parte settentrionale dell’isola di Vancouver e la costa canadese è un labirinto di canali infossati tra isole e fiordi di granito, selvaggi e coperti di foreste di abeti, betulle e altre essenze simili, dal nome generico, poco invitante e poco meritato, di Desolation Sound.
Più a ovest e più a sud il mare prende il sopravvento con i nomi di Queen Charlotte Srait e Strait of Georgia, il primo aperto verso l’Oceano Pacifico e il secondo chiuso a sud dal Puget Sound, altro notevole labirinto di isole e canali in acque statunitensi.
Il clima che abbiamo trovato è stato assai più bello delle nostre aspettative, con solo un paio di giorni coperti o piovosi su quindici e molto più caldo del previsto; purtroppo la contropartita è stata la scarsezza di vento che, quando c’era, soffiava di solito da prua…
I problemi di navigazione che abbiamo incontrato sono legati alla morfologia dei luoghi, per gli ancoraggi, al clima, per le nebbie e alle correnti di marea.
Ancoraggi
Tutta la zona è stata modellata dai ghiacci, per cui sembra un po’ di navigare sul lago di Como, con coste scoscese, fondali in genere profondi e un limitato numero di ridossi.
Questi sono spesso molto piccoli e danno rifugio a poche barche; in più, con tre metri e più di escursione di marea e una decina di metri di fondo, se va bene, si devono sempre usare dai cinquanta metri in su di catena.
Alcune volte abbiamo potuto ormeggiarci agli alberi della riva con due cime di poppa per limitare gli spostamenti. In questo caso è fondamentale tener conto che l’abbassarsi della marea rilascia la tensione di cime e catena e fa arretrare la barca di diversi metri verso la costa rocciosa, la quale, a sua volta, può estendersi sommersa verso il largo.
Una volta abbiamo dovuto calare l’ancora in venti metri di fondo (Leask Bay, nel Bute Inlet)e, se avessimo avuto più catena, sarebbe stato saggio calarla più al largo dove ce n’erano trenta, ma non avevamo i 120 metri almeno necessari per questo: tenerne conto nella preparazione di una barca oceanica!
Alcuni mettevano la grippia per la possibile presenza di tronchi affondati, ma noi non l’abbiamo mai fatto senza dovercene peraltro pentire. Il fondale ci è quasi sempre parso ottimo tenitore, di fango denso e compatto, tanto che l’ancora veniva spedata con difficoltà. Avevamo una Bruce da 16 Kg. che si è dimostrata eccellente e un’ottantina di metri di catena!
Visibilità
Abbiamo avuto nebbia fitta una mattina per alcune ore e scarsa visibilità, inferiore al mezzo miglio, un paio di mezze giornate. Abbiamo notato che la mattina può esserci nebbia bassa sul mare fino ad alcune ore dopo la levata del sole, probabilmente per la presenza di correnti di acqua fredda in superficie. Questo avveniva curiosamente solo lungo alcune parti della costa.
Avevamo un radar che abbiamo usato con profitto per la navigazione con la nebbia, anche se non era molto chiaro come regolarlo al meglio. Comunque le barche si vedevano con molta chiarezza, mentre le coste creavano talvolta degli echi simmetrici di difficile interpretazione.
La cattiva visibilità era associata a rovesci di pioggia con vento.
Non sappiamo come possa essere il tempo negli altri mesi dell’anno che ci dicono notevolmente più umidi di quelli che abbiamo visto noi.
Correnti di marea
Senza dubbio il problema più grosso da affrontare. Per attraversare il Desolation Sound non è possibile evitare di passare una serie di strettoie lunghe anche una decina di miglia, che in luogo vengono chiamate “rapid”, dove la corrente può superare agevolmente i 10 (dieci!) nodi, con associati mulinelli, vortici e onde stazionarie.
L’avvertimento obbligatorio è di passarle nei momenti (brevi) di stanca. Avvertimento tanto serio che perfino le navi vi obbediscono.
Le correnti diminuiscono un po’ di velocità alle quadrature, ma siccome le maree qui sono del tutto anomale, bisogna sempre usare il libro delle maree locali che dà anche i tempi delle stanche.
A questo proposito sottolineo che il volume non è affatto facile da consultare, soprattutto per i dati relativi alle località secondarie, che sono dispersi qua e là.
Non ci si può limitare a considerare i periodi di stanca, ma si deve prendere in esame anche la direzione della corrente nei tratti a monte e a valle, per alutare accuratamente i tempi di approccio e di successiva navigazione.
Per dare un’idea della complessità del problema di pianificazione, considerate che al ritorno, quando eravamo già abituati ai calcoli e alla procedura, abbiamo impiegato più di due ore per programmare il passaggio delle Seymour Rapids (o Narrows) verso sud.
Mi sembra che il vento nei canali non possa che soffiare lungo l’asse degli stessi: sarà quindi o in favore o contrario alla corrente, mai trasversale. Questo comporta inevitabilmente che, o prima o dopo una “rapid” passata in stanca ci si ritrovi con un mare piuttosto cattivo, se il vento è più di una brezza.
A noi è successo di passare verso nord la più lunga delle “rapid” (Seymour apids, in tutto una decina di miglia compreso l’avvicinamento nel Discovery Passage) con poco vento, una corrente contraria di circa 3 nodi nel tratto a sud e una favorevole a nord, più moderata. Successivamente, in una zona dove al canale principale (Johnstone Strait) se ne collegava uno laterale, si era levato un vento contrario di circa venti nodi che ha sollevato un mare corto e alto circa 1,5 m. che ci ha costretto a prenderlo di bolina (a motore!), perché era tale da fermarci quasi del tutto con grandi panciate sull’acqua.
Il Johnstone Strait è normalmente sede di accelerazioni del vento tali da meritare una previsione meteo a sé stante.
Ci è capitato di entrare volontariamente a motore in un tratto di una “rapid” iuttosto largo con vento abbastanza leggero e in quadratura, quindi con corrente più debole: è stato un divertimento superlativo, perché si vedevano benissimo tutti giochi che la corrente faceva e si potevano sperimentare senza pericolo i movimenti di rotazione e di ondeggiamento che facevano subire alla barca, ma suggerisco di farlo solo se si è molto molto sicuri di sé.
Questi posti sono una mensa imbandita per uccelli delfini e pesci: era l’inizio della migrazione dei salmoni che saltavano fuori dell’acqua tutt’intorno a noi, con danze frenetiche dei loro predatori.
ALTRI PERICOLI
Kelp
Le acque di questi posti ospitano un’alga molto lunga, il kelp, che cresce su fondali rocciosi relativamente bassi e che può essere un notevole indicatore della loro presenza. Purtroppo non cresce su tutte le rocce sommerse e quindi non consente di ridurre l’attenzione.
Bisogna anche evitarlo per non rischiare di impegolarsi nelle sue fronde, bloccare l’elica o l’aspirazione dell’acqua del motore, con conseguenze spiacevoli e di difficile soluzione.
Sulle carte di dettaglio è ben segnato, ma se ne possono trovare anche grandi matasse alla deriva.
Tronchi alla deriva e sommersi
Se ne trovano a bizzeffe lungo tutte le rive, sono il risultato degli estesissimi tagli dei boschi e vengono persi durante il trasporto, che avviene per fluitazione di grandi quantità, tutte circondate da una catena di tronchi inchiavardati tra loro e trascinati da rimorchiatori.
Probabilmente altri, rimasti a terra durante i tagli, vengono trascinati a valle dai torrenti e dai fiumi quando piove: noi siamo stati impediti nel raggiungere la testa di un lungo fiordo proprio dalla superficie dell’acqua completamente coperta da rami, tronchi e addirittura interi ceppi con radici evidentemente trascinati a valle dalle piogge dei giorni precedenti.
Abbiamo visto la posizione di possibili tronchi sommersi vicino alle zone preparate per la raccolta dei tronchi di tagli passati. Purtroppo queste sono spesso posizionate in insenature riparate dove farebbe comodo fermarsi. Per fortuna i portolani per il diporto di solito segnalano il pericolo, ma non coprono alcune delle zone più remote dove potrebbe essere interessante recarsi: dunque molta attenzione!
Acque torbide
La trasparenza dell’acqua può essere anche di alcuni metri, ma non ha ci mai consentito di vedere il fondo degli ancoraggi né rocce sommerse ad alta marea e pericolose a bassa.
Ci è stata sufficiente per avvicinarci senza rischio fino a meno di dieci metri da una riva scoscesa per vedere un orso che si cibava di alghe, senza vento, con l’aiuto dell’ecoscandaglio e con mare assolutamente piatto, naturalmente
Molluschi e altri animali
Non ci è stato possibile raccogliere molluschi, come da suggerimento di Franco Malingri, perché sulle coste era presente la “marea rossa” che rossa non è, ma così viene chiamata un’infestazione di alghe microscopiche che i molluschi filtrano e che li rendono tossici e perfino mortali.
Abbiamo invece ricevuto in dono degli ottimi gamberi appena pescati con le nasse da dei diportisti con cui avevamo scambiato quattro chiacchere e che qui ringrazio. Un eventuale suggerimento per le prossime gite. Sconsigliabile la pesca alla traina, perché richiede un’attrezzatura speciale data la profondità a cui viaggia il pesce pregiato.
Abbiamo notato la presenza di zanzare, non ubiqua ma talvolta fastidiosa.
Abbiamo visto dei serpenti simili a biscie d’acqua, che paiono innocui.
Ci è stata segnalata la presenza di puma da alcuni operai che vivevano a terra in una zona molto isolata e che ne avevano una discreta paura, ma per chi passa la notte in barca non dovrebbero essere un pericolo: noi non ne abbiamo mai neanche sospettato la presenza.
Non abbiamo raccolto zecche nelle gite a terra, ma è possibile la loro presenza.
Rifornimenti
Sporadici dopo Comox e soprattutto dopo Campbell River, nel Discovery Passage. Però non assenti del tutto come era successo in Baja California. Possibile trovare qua e là pane, acqua, birra, un po’ di altri generi alimentari in piccole quantità. Poco facile liberarsi dei rifiuti che erano confinati nei gavoni dello spoiler e in uno profondo di poppa, dove non era possibile mettere altro per la presenza di tubi e cavi.
LA BARCA
Abbiamo avuto a disposizione uno Janneau 44’ (di nome Norfinn): la barca migliore, dal punto di vista velico, che abbiamo provato finora con Oceani 3000!
Gli interni invece, preparati evidentemente per l’uso dei proprietari e non per il charter, erano piuttosto inadatti e stretti per sette persone.
Ottima la manovrabilità, la coperta e l’attrezzatura.
Coperta
C’era quasi tutto il necessario per le vele, incluso le pazienze ai lati dell’albero e i winch sull’albero per le drizze, benché quella di randa fosse rinviata in pozzetto: dopo un po’ di sofferenza l’abbiamo trasportata all’albero e così siamo stati soddisfatti.
La randa era una North nuova di pacca steccata e con i carrelli Harken o simili, una goduria per la manovra: lasciando la drizza la randa cala da sé tra i lazy jack in un battere di ciglia. Aveva perfino tre mani di terzaroli, anche se abbiamo dovuto riposizionare le borose, ma probabilmente siamo stati i primi a usarla.
Non così buono il fiocco rullabile, un tantino mutandato, che ci ha dato un problema all’inizio durante un riavvolgimento prima di imparare a conoscerlo e a svolgerlo con la necessaria cura.
Uniche mancanze di rilievo l’assenza di life line e di un fiocco da vento con relativo strallo mobile.
Il pozzetto era coperto da un bimini semitrasparente connesso con un telo al paraspruzzi anteriore, ottima soluzione per la pioggia, un po’ meno per la visibilità delle vele, ma un compromesso in fondo accettabile.
Il posto del timoniere era un po’ schiacciato contro il timone, ma quest’ultimo era così dolce ed equilibrato e la barca così ben manovriera da far scomparire questo difetto col piacere di stare a governare.
Strumenti
La strumentazione era molto completa, con grande GPS cartografico e Radar visibili dal timoniere e tutti gli strumenti protetti da sbarrette di acciaio inox.
L’indicatore di direzione del vento era starato di 15 gradi. Il Log non funzionava e la cosa ci ha disturbato non poco, perché avremmo gradito saper stimare la reale presenza di corrente. Abbiamo cercato di fare qualcosa, muovendo tutto quello che potevamo senza far danni, ma poi abbiamo rinunciato per non rompere nulla.
Avevo incluso la segnalazione nelle note alla società di charter quando, dopo il rifornimento di gasolio a duecento metri dall’attracco finale, si è messo a funzionare da solo! Che rabbia! Ma sono le delizie dell’elettronica a bordo.
Attrezzatura
Presente in quantità sufficiente in tutto, dai parabordi alle cime d’ormeggio, passando per l’ancora di rispetto, curiosamente grande e di alluminio, molto interessante, le carte, la bussola da rilevamento, il battellino semirigido di alluminio e un bigo molto robusto per la manovra del fuoribordo che sosteneva le antenne radar e GPS.
Le cinture di sicurezza e di salvataggio erano, presumo, a norma canadese, ma inadeguate secondo gli standard di Oceani 3000: se le condizioni non fossero state così favorevoli ci saremmo trovati non in pericolo, ma certo un po’ a disagio.
Interni
A caval donato… Però qualche commentino va fatto.
Erano presenti i soliti difetti delle barche moderne, tra cui il maggiore erano le cuccette doppie, ma tant’è..
Un po’ pochina l’acqua a disposizione, 500 litri. Per fortuna del nostro comfort abbiamo potuto fare rifornimento con facilità, ma una spedizione un po’ più in profondità nella zona a nord richiederebbe senz’altro la rinuncia a qualche comodità che ci siamo invece concessa in vicinanza dei rifornimenti.
Insufficienti gli spazi per gli abiti. Se fossimo stati in otto sarebbe stato davvero incomodo.
In compenso la cabina di prua, evidentemente padronale, era dotata sia di gabinetto che di locale doccia, con il compenso di una puzza formidabile perché il sistema delle taniche di raccolta delle acque nere perdeva…
Tutto ciò solo per concludere che non possiamo liberarci del nostro spirito sportivo e della nostra tolleranza per gli altri e per le inevitabili concessioni alla coabitazione ristretta.
Ottima se pur un po’ rumorosa la presenza dell’impianto di riscaldamento, che abbiamo usato con una discreta frequenza, soprattutto per ridurre l’umidità.
Poche le perdite d’acqua dagli osteriggi, fastidiosa solo quella nella cabina di prua.
Buona la presenza di una pompa di acqua di mare per la cucina, che però abbiamo usato con parsimonia perché l’acqua di mare era sempre piena di vita.
Frigorifero e cucina funzionavano in modo impeccabile, incluso il barbecue esterno a gas. N.B. La cucina aveva perfino la cintura di sostegno per il cuoco (cintura salvacuoco)!
LA SOCIETA DI CARTER
“Desolation Sound Yacht Charter”. Ci ha lasciato un’ottima impressione: gentili e organizzati, sono molto “americani”, ma hanno risposto a tutte le nostre richieste e domande con precisione e gentilezza.
Hanno un numeroso personale per servire le barche alla base e prepararle per il noleggio.
Il titolare sembra molto competente sulla navigazione nella zona.
Hanno contatti a loro dire con dei punti di servizio in giro per la zona che si possono occupare di eventuali guasti.
In effetti il luogo pullula di pescatori professionali con piccoli pescherecci attrezzati per i diversi tipi di pesca e ci sono certamente le officine attrezzate per la manutenzione, sia pure non tutte dietro l’angolo.
Sicuramente una referenza da utilizzare ancora.
IL FUTURO
Ci è stato parlato con entusiasmo dell’Alaska e dell’Inside Passage, che consente la navigazione fino all’estremo nord quasi sempre protetti dalle isole. Clima certamente molto più duro, ma paesaggi, sembra, assolutamente eccezionali e animali selvatici a gogò.
Per quanto ci riguarda potremmo considerare questa una missione esplorativa che ci ha mostrato quanto siano belli e godibili questi posti. Soprattutto, per i nostri gusti, la parte settentrionale.
Non sarebbe impossibile programmare una navigazione a tappe da qui fino in Alaska e ritorno, che copra Luglio e Agosto, chissà…
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