Capo
Horn 1999 |
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PARTECIPANTI:
Nanni Acquarone, Renzo Adda, Davide Boghi, Mario Carnini, Piero
Magnabosco, Roberto Roveggio.
BARCA, SKIPPER E COMPAGNA:
Baltazar, Damien II, acciaio, 16m., 20 t., cutter. Bertrand Dubois
e Stiv Follin
DAL DIARIO DI NANNI
Sabato 20/3/99 Linate - Buenos Aires
Andiamo a Linate con Roberto, dove troviamo subito Davide e Mario.
Bagagli al check-in , accettati con un po' di lentezza. L'aereo
per Madrid è pieno. Gran vista sui monti del cuneese, poi le nuvole.
Si apre una finestra tra le nuvole sul Golfo del Leone che è tutto
bianco di schiuma.
A Madrid la sosta è un po' più lunga del previsto, per cui partiamo
con un'ora di ritardo. Un 7474 con forse 1/4 dei posti occupati
che ci dà agio di cambiar posto come e quando vogliamo e di sdraiarci
su più sedili per dormire. Il volo è tranquillo, anche se molto
lungo: 12 ore. Si nota molto bene il passaggio sulla ITCZ (intertropical
conversion zonne), perché il cielo dell'aliseo cede il passo a nuvole
indifferenziate e alte per circa un'ora.
Traversiamo la costa del Brasile tra nuvole di altra natura, cumuli
nembi, ecc. Quello che si vede del territorio è per me sorprendente:
campi, campi, campi, campi! Mi aspettavo la foresta che invece non
c'è. Va avanti così per quattro ore, fino al buio. Ogni tanto dei
fiumi, molti interrotti da sbarramenti che formano laghi artificiali.
Non si vede bene perché il sole è già un po' basso (ci sono 4 ore
di differenza in meno) e le ombre delle nuvole, unite alla foschia,
mascherano i dettagli. Abitati: pochissimi. Credo che siamo passati
più o meno sopra Brasilia, senza vederla. Per un tratto seguiamo
il corso dell'Iguazù (credo), però a monte delle famose cascate.
Col buio, un po' stanchi, atterriamo a Buenos Aires. Per noi è
mezzanotte. Semplici formalità di immigrazione. Ci impacchiamo in
un tassì e ci facciamo portare in albergo, che si rivela una specie
di topaia.
Domenica 21/3/99 Buenos Aires
Andiamo a zonzo per la città. Fa molto caldo e umido. Entriamo
in un supermercato aperto, per comprare un po' di crema da barba
e subito ci inquadrano come pericolosi delinquenti seguendoci con
sospetto tra gli scaffali. Scampati al pericolo di essere arrestati
(ma non avevamo mica rubato niente!) ci rechiamo al cimitero della
Recoleta, dove c'è una delle chiese più antiche di Buenos Aires.
Per la strada ci fermiamo a fare qualche foto sotto un gigantesco
ficus, primo esemplare di tanti che vedremo in giro per i parchi.
La città oggi ha pochissimo traffico. Molto curiosa sia la flora
che gli uccelli. Ci sono delle specie di merli color crema col petto
giallo.
Ricongiunti, andiamo al Puerto Madero, dove una serie di Dock lunga
chilometri è stata restaurata e trasformata in ristoranti e uffici.
Lì mangiamo, bene, e poi facciamo un giro dietro la Casa Rosada,
che è proprio lì dietro, dove si vedono le fondamenta dei primi
bastioni della città. Ritorniamo sul porto a vedere un 3 alberi
della marina argentina e poi con un tassì andiamo al museo della
"Ciencia" (Scienza) a curiosare tra fossili ed esemplari zoologici.Molto
interessanti gli scheletri del milodonte (e un pezzo di pelle con
pelo!), un esemplare in formalina di calamaro gigante e una sua
foto presa in Mediterraneo con un sub vicino! Usciamo, prendiamo
un gelato e torniamo in albergo per mangiare lì vicino. Al ristorante
ci raggiungono Piero e Renzo che nel frattempo sono arrivati bene
con lo stesso nostro volo di oggi.
Lunedì 22/3/99 Buenos Aires-Ushuaia
Il programma è andare alla Plaza de Mayo, poi liberi per trovarsi
in albergo alle 11,30 e andare all'aeroporto. La piazza non ci dice
niente: è piccola, rispetto alle altre che abbiamo visto ieri e
per niente monumentale. Piero e Renzo vanno per conto loro, mentre
noi quattro andiamo in cerca di carte nautiche della Terra del Fuoco,
che troviamo alla fine all'Istituto Idrografico Argentino. Tutti
insieme, dopo sistemazione della cassa comune, che tengo io, purtroppo,
andiamo all'aeroporto nazionale dove facciamo il check-in e mangiamo.
Buenos Aires oggi ha traffico pazzesco. Impressionante la larghissima
Avenida 9 de Julio, la più larga strada del mondo. La gente sembra
molto gentile. Ci sono poliziotti e guardie giurate a ogni passo,
nel centro. Ad alcuni la città piace, a me in particolare per certi
grandi spazi, che però fuori dal centro scompaiono: le strade lì
sono strette e fiancheggiate spesso da alti edifici, con altrettanto
stretti marciapiedi alberati. Alcuni alberi hanno il tronco a bottiglia
e sono pieni di spine, hanno fiori belli lilla e bianche e quando
ce ne sono molti le foglie mancano. Il caldo è soffocante, anche
se siamo all'inizio dell'autunno, d'altra parte la latitudine è
35°S.
Partiamo infine per Ushuaia. Il cielo, che è coperto da subito
e non ci lascia vedere nulla, si apre avvicinandoci alla meta,
così si vede la costa argentina della Patagonia e, fra le
nuvole, l'ingresso dello Stretto di Magellano, la Baia Inutil,
il lago Fagnano. Poi cime innevate fra le nubi. Proprio a
S dell'imbocco dello stretto di Magellano c'è una grande baia
aperta a SE con il fondo scoperto dalla marea bassa. L'ultima
parte dell'avvicinamento è nell'asse del Canale del Beagle,
coperto di nubi. Si vedono le alghe che affiorano tra gli
scogli. L'aerostazione di Ushuaia è un bell'edificio in legno
moderno. In tassì all'albergo, che più che compensa quello
di Buenos Aires.
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L'Hotel del Glaciar è situato in alto,fra i boschi, è nuovo, in
legno, a quattro stelle. Ha una magnifica vista sul canale ed è
al limite della neve. Arriviamo infatti che nevischia. Ci sistemiamo
in camera e ci accorgiamo che abbiamo dimenticato in aereo il tubo
con le carte appena comprate. Cercheremo di contattare l'aeroporto,
ma questa sera è tutto chiuso. C penseremo domani. Scendiamo in
città per la cena e ci riempiamo di centolla (Lithodes antarcticus),
il granchione simile a una granseola che si pesca da queste parti.
La città è costruita sul fianco della montagna, con strade parallele
al mare e strade perpendicolari, che hanno la precedenza (sennò
sai che ridere con la neve!). Casette di legno. E' cresciuta di
10 volte in 10 anni.
Martedì 23/3/99 Ushuaia
Piove. La luce appare abbastanza tardi. Si vede che siamo più a
W di quello che dice il fuso orario. Facciamo colazione insieme
poi, un po' all'improvviso, ci sparpagliamo. Roberto, Piero e Renzo
si coprono adeguatamente e schizzano via a piedi verso il parco
nazionale, a W. Mario decide anche lui di andare a passeggiare e
parte verso la montagna dietro all'albergo. Ci diamo comunque appuntamento
alle 18,30/19 in albergo.
Io e Davide ci facciamo portare in città col pulmino dell'albergo,
dopo averne preso per sbaglio uno che va in gita ed esserne scesi
precipitosamente seguiti dagli sguardi di disapprovazione dei gitanti.
Gironzoliamo un po' senza meta, senza che in città ci sia quasi
nessuno, poi andiamo all'aeroporto per tentare il recupero delle
carte. Il paesaggio è interessante. Il cielo ha nuvole molto basse
che nascondono le cime adiacenti. La neve copre la parte alta della
foresta di faggi australi, dipingendo una fascia grigia tra il bianco
della neve sulla montagna, più in alto, e il verde-nero degli alberi,.
La linea della neve non sarà a più di duecento metri di altezza.
Dopo un caffè, costosissimo, prendiamo un taxi e andiamo al trenino
della fine del mondo, che è un'attrazione turistica recente, ricostruito
su parte del percorso del vecchio trenino a scartamento ridotto
che portava il legno tagliato dai deportati fino a Ushuaia. Abbiamo
modo così di vedere da vicino la foresta, che sembra impenetrabile,
il fiume (rio Pipo) e le torbiere che ricoprono la valle. Un po'
di oche selvatiche e di cavalli. Piove sempre.
Al ritorno il taxi che ci aveva portato ci è venuto a riprendere
e ci porta in città a uno spaccio dove mangiamo un panino. Poi facciamo
visita al museo marittimo e della prigione, dove impariamo un po'
della storia, breve, della città e della sua prigione. Lì erano
rinchiusi pericolosi criminali condannati all'ergastolo, o quasi,
che non facevano certo una bella vita, ma che consentivano ai locali
abitanti di avere mano d'opera a basso costo. C'erano anche dei
detenuti politici che, apparentemente, vivevano, un po' meglio.
Pensare che la prigione era stata trasportata qui dall'Isola degli
Stati per motivi umanitari!
Allo spaccio compriamo altre carte nautiche e cartoline, che scrivo
non appena tornato in albergo. I tre passeggiatori non ci sono,
mentre Mario si è riposato un po'. Alle otto di sera decido che
il ritardo è preoccupante e che è tempo di prendere in mano la situazione
e di far partire le ricerche: è ormai buio. I quel momento li incontro
che rientrano. Ceniamo in albergo e andiamo a letto dopo esserci
accordati per andare l'indomani a vedere il lago Fagnano.
Mercoledì 24/3/99 Ushuaia e dintorni
Con qualche contrattempo, riusciamo a partecipare a una gita fino
a Tolhuin, piccolo paese situato subito dopo il lago Fagnano, nell'interno,
così avremo modo di vedere un po' della zona. Il tempo sembra che
voglia aprirsi e la copertura delle nuvole è più alta, consentendoci
di vedere le montagne innevate, alcune con begli strati rocciosi
piegati e ripiegati su se stessi, in evidenza. La strada si addentra
verso N passando a W del monte Olivia (1328 m.), bella montagna
a punta che delimita e caratterizza a NE la baia di Ushuaia. E'
stata scalata per primo da padre Alberto De Agostini. Il nome non
deriva dalle storie di Braccio di Ferro, ma da una parola Yàmana,
Uliwaia, che significa punta di arpione (dalla sua forma aguzza).
Ushuaia invece significa baia che penetra a fondo. Tolhuin significa
cuore.
Passata la strettoia tra il monte Olivia a destra e i monti Vinciguerra
a sinistra (W) si sbuca nella valle Carbajal, dove c'è un'estesissima
torbiera. La strada è in via di allargamento ed è in gran parte
sterrata. Prosegue verso E per poi salire sulla catena dei monti
Alvear che chiude a N la valle e passare dall'altra parte al passo
Garibaldi, a 430 m. di altezza. Lì, nella neve, si apre la vista
del bellissimo Lago Escondido, scuro sotto le nuvole e circondato
da foresta. Al lago si arriva anche a piedi in breve tempo usando
il tracciato della vecchia strada. Piero, Roberto e Mario, manco
a dirlo, con alcune ragazze che partecipano alla gita, scelgono
questa soluzione e partono. Noi altri col pulmino andiamo fino al
lago e torniamo indietro lungo di esso per un breve tratto fino
alla Hosteria Petrel, grosso albergo, piuttosto sporco. Andiamo
loro incontro per un breve tratto e li incontriamo quasi subito.
Il posto dove c'è l'Hosteria è molto bello e alcuni alberelli in
riva al lago portano traccia dei castori. I faggi australi hanno
foglie molto piccole. Il sottobosco è quasi inesistente, ma i tronchi
sono molto vicini tra loro e il suolo è coperto dai vecchi tronchi
caduti e rami semi marciti e coperti di muschi e licheni. Dove c'è
erba mi si attaccano ai pantaloni dei semi uncinati simili a quelli
che ci sono da noi. Basta però lasciarli lì e dopo un po' cominciano
a cadere da soli.
Ripartiamo verso il lago Fagnano. Usciti dalla valle del
Lago Escondido, che è perpendicolare alla catena di montagne
e al Lago Fagnano, il terreno diventa quasi piano; direi che
siamo su di una morena laterale. Il tempo continua a schiarirsi
e possiamo vedere tutto il lago verso W, fiancheggiato da
picchi innevati. Assomiglia vagamente al lago di Garda come
dimensioni trasversali, ma i monti sullo sfondo non si chiudono
come da noi. Se si pensa che intorno a noi non c'è nessuno,
fa un po' effetto. Tolhuin èun centro di meno di 1000 abitanti
costruito nel 1972, con alcune baracche, non si può trovare
diversa definizione, che vive credo di impieghi governativi
e di lavoro nelle segherie. Però nel bar dove facciamo sosta
e mangiamo un panino ci sono foto di trote di grandi dimensioni
pescate nel lago o nei torrenti intorno, quindi credo che
anche questo tipo di turismo stia facendo la sua comparsa.
Dopo mangiato ritorniamo indietro, oramai con il sole. La
baia di Ushuaia è molto bella così. Durante il viaggio le
ragazze ci fanno assaggiare il mate, che non è molto buono,
sa di fieno.
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All'arrivo ci dividiamo di nuovo: Mario va in albergo a scrivere
cartoline, i veneti vanno per musei e così pure Davide e io. Dopo
essere stati "rapinati" di 5$ a testa al museo civico, di ben tre
stanze, andiamo all'aeroporto dove apprendiamo che ci hanno portato
le carte alla barca, e così andiamo lì anche noi, dove cominciamo
a far conoscenza con lo Skipper e la sua compagna. Verso le 19 arrivano
gli altri con le valigie e ci dedichiamo a sistemarci. Io sto a
prua con Renzo. Mario e Davide nella cabina di centro a destra e
Roberto e Piero nelle due cuccette a sinistra, nel passaggio. Andiamo
poi a cena in un ristorantino dove si mangia maluccio.
Lo Skipper è bretone, Bertrand Dubois passa sei mesi in barca e
sei mesi a St. Gervais, vicino a Chamonix, dove arrampica e fa la
guida alpina. La sua compagna Siv Follin è svedese. Sono una ventina
d'anni che va in giro in barca e da quindici che fa charter da queste
parti. Ha organizzato alla fine degli anni settanta una spedizione
vela-alpinistica alla Georgia australe. Racconta un po' di storie
di quello che ha fatto. Si lascia scappare che dalla prossima stagione
"finalmente" smette con Capo Horn. Cerco di stimolarlo per sapere
se è uno schifo, ma evita la trappola e pone la cosa in positivo.
Vedremo in seguito!
Giovedì 25/3/99 Ushuaia-Puerto Williams
Stanotte si è messo a soffiare il vento, malgrado le carte meteo
che danno qui alta pressione e che farebbero prevedere (a noi mediterranei)
tempo bello. Invece piove e fa un po' freddo. Sono stato bene nel
sacco a pelo, non fa freddo invece in barca. Colazione con rimbrotto
dello Skipper per il troppo consumo di acqua. Io, Piero e Davide
andiamo a confermare i biglietti aerei, seguendo il consiglio dello
Skipper. Compro anche dei sigari, carissimi. Ritorno in barca per
scrivere il diario di bordo nell'attesa di poter completare le pratiche
doganali per l'uscita dall'Argentina (infatti Puerto Williams e
Capo Horn sono in Cile). Il tempo passa e sembra che le carte si
facciano dopo pranzo. Bertrand ritorna con un agnello scuoiato che
appende alla roll-bar di poppa, che tiene radar, generatore eolico,
antenna VHF e antenna GPS.
Arrivano le pizze per il pranzo! Mi alzo dalla cuccetta, mi metto
gli stivali e track!!! Ahi la schiena! Inaspettatamente mi sono
fatto male, e che male! Finisco come posso di infilarmi gli stivali
(è il destro che mi ha creato il problema). Però non sono bloccato.
Spero che non sia un male che peggiori quando la lesione sarà
fredda. Che sfiga! Arrivare a questo punto e farsi male! Porca misera!
Mangiamo poi mi sdraio un po'. Alle 14 arriva il funzionario. Completa
i visti di uscita, con cura meticolosa e pignola, anche nel mettere
via i numerosi timbri. Subito ci vestiamo e partiamo. Mentre ci
stacchiamo dal pontile vediamo il nostro primo pinguino di Magellano
(pinguino patagonico, Spheniscus magellanicus) in acqua.
Nel prepararci alla partenza c'è un po' di confusione, impacciati
come siamo con le cerate e senza l'abitudine al ponte della barca.
Io faccio poco o niente, rigido come un baccalà.
Appena staccati dal molo e ritirati i parabordi il motore viene
spento e la trinchetta viene srotolata in parte. Ci saranno 25 nodi
da W. Prendo io la ruota e governo fino alle 16,45, con un po' di
fatica per il male. Intento il vento rinfresca un po' e poi diminuisce.
Così srotoliamo anche il genoa, prima in parte poi completamente.
Il canale Beagle si prolunga davanti a noi e sembra che in fondo
si apra sull'oceano Atlantico. Forse le isole che lo chiudono in
quella direzione sono basse sull'acqua. Invece, dalla parte opposta,
sembra tutto chiuso da montagne alte e innevate. Ci sono nuvole
basse, credo non superiori a 1000 m., che danno al tutto un aspetto
abbastanza cupo. A N i fianchi dei monti, boscosi, scendono piuttosto
ripidi verso il mare, con qualche apertura e qualche fattoria allo
sbocco delle valli. A S invece l'isola di Navarino è più dolce.
Dopo aver lasciato il timone alla fine del mio turno mi metto per
un po' in cuccetta e poi a leggere in quadrato. Il cielo si è di
nuovo richiuso e con l'avvicinarsi a Puerto Williams comincia a
piovere e il vento aumenta. Vediamo il nostro primo albatross. Bertrand
segue la navigazione col radar dal quadrato. Proprio davanti al
porto si deve doppiare una secca, che scopre a marea bassa, e poi
entrare in direzione WSW contro vento. Si arrotolano le vele e si
accende il motore.
L'attracco per diportisti di Puerto Williams è in un bellissimo
piccolo fiordo con qualche casa sulla sinistra entrando e un vecchio
piroscafo semi affondato (il famoso Micalvi, citato anche da Coloane)
che fa le funzioni del molo con poche barche affiancate. L'attracco
è un po' confuso. Anche stavolta abbiamo uno Skipper che non dà
istruzioni? Arriva all'ormeggio un po' troppo veloce e la barca
è pesante. Cena abbondante con ratatouille pollo e riso. Restiamo
a chiacchierare per un po'. Stufe entrambe accese.
Venerdì 26/3/99 Puerto Williams-Puerto Toro
Per fortuna non ho dormito male, ma ogni volta che mi muovevo,
ahi che dolore! Siv mi dà una pomata al Voltaren.
La giornata appare bella. Il fiordo e il paesaggio intorno sono
bellissimi. Le cime innevate (i Denti di Navarino, sul prolungamento
del fiordo) contrastano con la fascia di alberi scuri nel sole.
Puerto Williams è un insediamento militare, ma sono molto gentili
e salutano con cortesia. Le case sono tutte ben allineate e i marciapiedi
ben fatti, al contrario di quelli argentini. Scatto molte foto.
Incontro gli altri che mi avevano preceduto e scendiamo insieme
verso la barca passando dal fondo del fiordo, che è profondo solo
due o trecento metri.
Viene a bordo il funzionario cileno per le pratiche di ingresso
e così alle 12 possiamo partire con randa e genoa a farfalla.
Governa Mario. Navigazione stupenda con vento intorno a 20
nodi da W che ogni tanto cresce un po'. Mare calmo, naturalmente.
Passiamo tra le isole (Gable e altre), che sono il resto della
morena terminale del ghiacciaio che riempiva il canale Beagle.
Mangiamo una buona insalata di riso fatta coi resti della
cena (Siv si sta rivelando una cuoca eccellente!). Incrociamo
una barca di ritorno dall'Antartide: quante ce ne sono state!
Stiamo facendo una navigazione fantastica, quasi come essere
in montagna. Già fuori del canale Beagle, a N dell'Isola Picton,
che fiancheggia a E l'isola di Navarino e divide in due bracci
l'uscita del Beagle,è pieno di albatross; sono bellissimi
e molto eleganti.Navighiamo in poppa, spesso a farfalla. Nel
canale tra l'isola Navarino e la Picton (Paso Picton) si comincia
a sentire una leggera onda lunga da S. Il vento diventa variabile,
perché si incontrano i due rami della corrente principale
da W che girano intorno all'isola Navarino. Ammainiamo le
vele. Il paesaggio sembra quello di Port Cros, con i faggi
che prendono il posto dei pini, bassi sull'acqua, con le rocce
nere, salvo la neve in alto.
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Entriamo infine in Puerto Toro, l'abitato più australe del mondo.
C'è un vecchio e malandato pontile con un peschereccio ormeggiato
sul lato NW. Mentre discendevamo il Paso Picton siamo stati chiamati
più volte per radio da stazioni cilene che volevano identificarci,
sempre molto gentili, ma formali. Non devono aspettare che la possibilità
di scambiare quattro parole, sia pure ufficiali, con le barche di
passaggio.
Ormeggiamo al lato SE del pontile mettendo delle assi sopra ai
parabordi raggruppati insieme come cuscinetto. Scendiamo quindi
a terra e passeggiamo nei dintorni. E' un posto estremamente pacifico.
Sulla riva appena a N del pontile c'è una piccolissima baracca che
ospita una chiesetta. Il paesino e subito sopra la spiaggia, a una
cinquantina di metri. Ci sono poche casette, tutte sollevate da
terra su pali, come fossero palafitte, una scuola e un campo giochi
con qualche vecchio carrello ferroviario e un paio di altalene.
Assistiamo all'arrivo di un elicottero con qualche personalità ufficiale
e i militari i salutano cordialmente. Un pescatore dai capelli lunghi
e neri (scopriremo più tardi che si chiama Carlos) ha una piccola
collezione di conchiglie e di oggettini in legno fatti sfruttando
il tumore provocato ai faggi dal parassita "lanterna cinese" (myzodendron,
quello dall'aspetto di vischio) o forse dal fungo "pan de indio"(cyttaria
darwinii, che però noi non abbiamo mai visto) che lucida per vendere
ai pochi di passaggio.
Ci inoltriamo per un sentierino che sale alla destra del villaggio
fino a una piccola torbiera poco più in alto. L'acqua che impregna
tutto il terreno e che sgorga in un torrentello, il quale finisce
poi sulla spiaggia a N della chiesetta, è rosso-marrone per il tannino,
come quella che tanti anni fa avevo visto nelle foreste canadesi.
In alcuni punti si vede bene il muschio rossastro (sfagno?) che
è estremamente cedevole a camminarci sopra, e anche pericoloso.
Altrove gli si è formata sopra una vegetazione di erba dura e corta
adagiata sulla sua superficie che invece consente il passaggio.
Ci sono cespugli che somigliano a mirtilli, con bacche color amarena
(calafate o berberis buxifolia?), un altro tipo che sembra
un agrifoglio (michay o berberis ilicifolia) con molte spine
dure sulle foglie, uno che ha le foglie che somigliano a quelle
del corbezzolo (forse il notro o Embothrium coccineum) e
piccoli faggi con le foglie minuscole (non si riesce a distinguere
tra il nothofagus pumilio, lenga, e il nothofagus betuloides,
guindo, grave, vero?).
Incontriamo Roberto che ci aveva preceduto con la stessa idea esplorativa.
Ci sediamo su un tronco caduto, unico posto senza umidità e stiamo
a guardare il panorama nell'immensa pace del luogo: splendido. Qualche
uccellino, un paio di falchi. Davanti a noi la baia e le isole si
vedono chiaramente, sembrano le Hyères come potevano essere cento
anni fa. C'è anche poco vento. Scendiamo e andiamo a fare un giro
lungo la spiaggia. Entriamo nella chiesetta, che misura forse tre
metri per quattro. Più avanti, dopo lo sbocco del torrentello che
superiamo su un ponticello, c'è la carcassa di una barca da pesca.
C'è bassa marea e qualche beccaccia di mare australe fruga tra i
sassi. Sono un po' più piccole di quelle boreali e il loro becco
mi sembra più sottile. La spiaggia è disseminata di detriti di legno,
alghe e conchiglie.
Incrociamo Siv che ha trovato il cranio ripulito e intatto di un
gabbiano. Ci ha detto che si possono trovare frecce e altri reperti
archeologici e noi camminiamo guardando attenti sotto i nostri piedi.
Trovo un sasso che ha la forma di una freccia un po' smussata: lo
farò passare per tale. Rientrando devio verso la piccola punta che
delimita a N la baia del pontile, dove ci sono quattro "tane" con
il pavimento in tronchetti di legno, sacchetti di sabbia per pareti
e il tetto di latta coperto di terra e di erba che Bertrand mi dirà
essere nidi di mitragliatrici usati durante la guerra con l'Argentina
degli anni 70, quella finita per l'intromissione del Papa.
In barca Siv sta preparando una montagna di gambe di centolla che
ha ricevuto dal pescatore, Carlos. . Quando sono pronte ci mettiamo
a tavola: sono deliziose. Uso il coltello da marinaio per aprirle:
la tecnica consiste nel tagliarle in due nel senso della lunghezza,
così la polpa si estrae bene senza frantumarsi.
Mentre finiamo di mangiare ci raggiunge Carlos, pescatore e artigiano.
E' un tipo interessantissimo. Ha i capelli lunghi, neri, ben puliti.
Afferma di essere uno dei pochi "indigeni" rimasti dell'isola di
Chiloè, nel nord dell'arcipelago cileno. Ci racconta che lo hanno
filmato per un programma televisivo facendolo passare per Yàmana
(più tardi, quando vedremo le antiche foto degli Yàmana ormai scomparsi
capiremo come questo fosse impossibile: erano molto più bassi, larghi
e grossi di Carlos, che invece è sottile e magro, con il viso affilato).
Ci racconta una parte della sua vita e delle sue vicissitudini:
he idee molto equilibrate, sagge ed elaborate, sorprendenti in una
persona che vive dove ci sono ben poche occasioni di scambi culturali.
Non è amico del regime che ha regnato sul Cile fino a poco tempo
fa e ne ha subito qualche impatto.
Poi parliamo di pesca e di vari sistemi di pesca usati in giro
per il mondo. Non riusciamo a capire come si pesca qui. Ci proponiamo
di mandargli una cartolina dall'Italia (vergogna, non l'abbiamo
fatto!). Prima di coricarci guardiamo se si vedono le stelle, dato
il buio del posto, ma il cielo è nuvolo e se ne vede solo una, nel
chiarore lunare. La notte si mette a piovere e a soffiare.
Sabato 27/3/99 Puerto Toro
Stamattina il tempo è grigio e umido. Non sembra che ci sia vento.
Il tempo non è favorevole alla partenza: avremmo vento sul muso,
quindi si dovrà aspettare che passi il fronte che adesso è sopra
di noi. Sembra che questo sia il modo di procedere da queste parti:
la cartina del meteofax dà la situazione delle depressioni e dei
fronti, dalla quale si deducono forza, direzione e variazione prevista
dei venti e, nel caso dei fronti, un'idea del tempo che farà e dei
possibili rinforzi del vento. Poi si considera il percorso da fare
e il tempo che si impiegherà e quindi si decide se andare o meno,
con l'aggravante della presenza della piattaforma continentale,
che alza, sembra, un mare mostruoso.
Dopo aver fatto colazione decidiamo di andare a fare un giro sul
promontorio che chiude la baia verso S per raggiungere una piccola
laguna che si troverebbe dietro la spiaggia. Pioviggina. Partiamo
tutti in spedizione con la cerata addosso, anch'io, con la speranza
che un po' di movimento mi faccia bene, visto che questa mattina
sono quasi bloccato.
Saliamo per un sentiero appena accennato, che perdiamo non appena
arrivati in cima alla collinetta. Seguendo la guida di Mario che
si alterna con Piero, scendiamo un po' avventurosamente verso sinistra,
così finiamo invece per dirigerci di nuovo verso la barca. Il bosco,
vergine, è quanto di più intricato si possa immaginare, anche perché
il legno ci mette molto tempo a marcire. Ci sono i cespugli spinosi
di michay e zone dove gli alberi sono più piccoli e formano
un groviglio impenetrabile. Pian piano riusciamo a tornare indietro,
tutti fradici di acqua e di sudore. Siamo anche scesi su una spiaggetta
approfittando di una specie di radura che ci offre una visione splendida
del porticciolo, sotto il sole che è ricomparso. Davide trova il
cranio di un castoro, con i suoi dentoni arancione che scorrono
negli alveoli.
Passiamo il pomeriggio a far niente: io ho preso alcune foto di
animali. C'era un martin pescatore (Ceryle torquata, martin pescador
grande) posato sull'ancora di un peschereccio tirato a terra
per riparazioni, dei gabbiani di Scoresby (Gabianus scoresby, gaviota
gris o gaviota austral), mentre non sono riuscito a riprendere
la famose "anitre a vapore" (Tachyeres pteneres, pato vapor comun).
Queste sono anatre inadatte al volo che si muovono sull'acqua a
grande velocità aiutandosi con le ali e sbattendole in modo che
sembrano ruote di battelli a vapore: sono incredibilmente buffe!
La sera altri granchi per cena, poi l'annuncio che domattina si
parte alle 6 con sveglia alle 5. Ci sono 60 miglia fino alla Caleta
Martial sull'isola Herschel subito a N dell'isola Horn, dove probabilmente
aspetteremo che passi il fronte successivo prima di uscire nel Pacifico
e passare Capo Horn! A domani...
Domenica 28/3/99 Puerto Toro - Caleta Martial, Isola Herschel
Stelle, stelle, quante stelle!!! Il cielo questa mattina presto
è completamente libero e limpido. La Via Lattea traversa il cielo
sopra di noi, luminosissima e piena di stelle di primaria grandezza
che le si affollano tutto intorno. Sopra l'albero c'è la Croce del
Sud, che sembra un po' il Delfino in grande, però non è molto appariscente,
una piccola delusione. Verso S ci sono le Nubi di Magellano che
sembrano proprio due nuvolette. Peccato, non mi viene in mente di
guardarle col binocolo. Il resto del cielo sembra più povero di
stelle del nostro emisfero. Una grande stella cadente traversa il
cielo per darci un buon augurio. A terra c'è una sola piccola luce
nella casetta che contiene il generatore. Tutto intorno è buio,
come ancora non abbiamo visto in nessun luogo qui.
Salpiamo e la navigazione viene fatta col pilota automatico e il
radar. Non c'è vento e il barometro è sempre alto. Bertrand dice
che è sui massimi per queste latitudini. In questo momento siamo
proprio sotto il contro di un anticiclone. Resto fuori a vedere
il levar del sole. Con la luce si distinguono delle nubi verso E
e delle altre molto basse sull'isola Navarino. E' segno di un fronte
freddo? Infatti in breve l'aria diventa molto più fresca e le nubi
si espandono bassissime dietro di noi sotto forma di nebbia sul
mare. Ci sono molti uccelli in acqua, soprattutto cormorani. Passiamo
accanto a un pinguino di Magellano e a una foca.
Intanto si leva il sole. Il mare è sempre calmissimo e procediamo
velocemente a motore. Si è levato un leggero vento da W, forse 3
o 4 nodi. Issiamo la randa per il caso che ci aiutasse un po' se
il vento cresce mentre procediamo. Pare incredibile trovare queste
condizioni a 60 miglia da Capo Horn. Bertrand e Siv dicono che sono
molto rare da queste parti. Fra non molto usciremo dalla protezione
dell'isola di Navarino entrando nella baia Nassau dal Paso Gorée
che la divide dall'isola Lennox. Qui comincia il mare grosso, quando
c'è, cioè quasi sempre tranne adesso, che si estende fino a 60/70
miglia a S di Capo Horn, fino al margine della piattaforma continentale.
Entro in quadrato dove c'è calduccio, perché la stufa Refleks (danese!)
a gasolio è sempre accesa. E' una soluzione veramente formidabile,
da copiare. La barca ha un pilota automatico a vento Aries e uno
a motore Autohelm.
Alle 9 (tempo di bordo, argentino, quello cileno sarebbe in realtà
un'ora prima) passiamo accanto all'Islote Medio, uno scoglio tra
Navarino e Lennox, che si vede male (pericolo!). Il tempo diventa
più chiaro e più limpido, e attraversiamo la terribile Baia Nassau
come fossimo in Mediterraneo, da non credere. C'è solo una leggera
onda lunga da SE che Bertrand dice provenire dall'Antartide. Si
vedono lontano verso W le ultime cime coperte di neve e ghiaccio
delle estreme propaggini occidentali dell'Isola Hoste, una grande
isola che delimita il canale Beagle a W di Navarino, a più di 100
miglia di distanza. Verso NW rimangono visibili quelle dei Denti
di Navarino e forse dei Monti Martial o della Cordigliera Darwin
dietro a Ushuaia. A NE pare di vedere l'Isola degli Stati sotto
nuvole basse: è l'isola che termina la punta estrema orientale della
Terra del Fuoco, anch'essa a più di 100 miglia.
Poco tempo dopo che siamo entrati nella Baia Nassau arrivano dei
delfini australi (Lagenorrynchus australis) che restano con noi
molto a lungo. Sono dei giocherelloni. Simili alle stenelle come
corporatura, forse un po' più piccoli, ma con un becco o assente
o molto corto e con i baffi chiari della livrea rivolti dalla coda
in avanti verso il dorso, all'insù; la pinna dorsale è più scura
verso l'avanti. Dorso più grigio. Vediamo anche tanti pinguini di
Magellano che nuotano come anatre, un paio di berte, albatross che
stanno fermi perché non c'è vento, cormorani. E' una giornata fantastica.
Stiamo andando sempre a motore. Verso NE il cielo si pulisce del
tutto e si vede bene l'Isola degli Stati, a circa 100 miglia di
distanza!
E' difficile descrivere adeguatamente l'emozione e la gioia di
essere qui con un tempo simile, che ti consente di abbracciare un
arco di terre così vasto, e che terre! A destra (SW) le ultime propaggini
della Cordigliera coperte dai ghiacci, anch'esse a un centinaio
di miglia. Grande, grande euforia (mi accorgo che i superlativi
si sprecano, ma,credetemi, sono davvero adeguati ai luoghi). Il
sole è caldo e si può stare fuori senza cerate. Alle 13,15 siamo
davanti alla baia centrale dell'Isola Wollaston, la più grande e
settentrionale del gruppo di isole che terminano a S con Capo Horn,
chiudendo la Baia Nassau. Vediamo due balene che si allontanano
soffiando. Bertrand dice che sono delle Mink, ma a me sembrano troppo
grosse e credo siano invece balenottere comuni. Non le seguiamo.
Mi riposo un poco in cuccetta, ma quando sento che il movimento
della barca cambia (era poco, ma la sua assenza si nota subito)
esco a vedere. Siamo infatti entrati nel passo tra le Isole
Wollaston e Freycinet (canal Bravo). Al nostro passaggio molti
uccelli si allontanano dalla nostra rotta: sono albatross,
cormorani, qualche pinguino. Delle anatre. C'è una foca che
fa capolinodavanti a noi (un leone di mare?). Nel canale che
percorriamo c'è una forte corrente contraria che si incrementa
nel puntopiù stretto, con visibili effetti in superficie.
Passiamoa NW dell'isolotto Adriana che è posto tra le due
isole e mentre gli viriamo intorno per dirigere su Caleta
Martialsull'Isola Herschel vediamo dietro di noi una balena,
quitra le isole nella Baia Arquistade!!! Sembra in qualche
modo di essere in Sardegna, tra le isole della Maddalena.
Pazzesco!Bellissimo! Incredibile! La Caleta Martial è formata
da unabella spiaggia di sabbia gialla contornata da alberi
bassie contorti protetti dal vento. Ancoriamo davanti a un
ruscellettoche sgorga nel mezzo della spiaggia in 6 m. di
fondo avendo calato 35 m. di catena. Diamo fondo all'ancora
mentre procediamo in avanti.
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Poi caliamo in acqua il gommone e trasciniamo a terra una delle
cime galleggianti da 200 m. arrotolate su due tamburi collocati
davanti all'albero e diamo volta a un albero. Andiamo a terra per
preparare un barbecue su cui cuoceremo metà dell'agnello che Bertrand
ha imbarcato a Ushuaia. Accendiamo il fuoco sotto degli alberi un
po' più alti che crescono nell'angolo S della baia, dove sbocca
un altro ruscello, più ricco d'acqua di quello in centro alla spiaggia.
L'acqua è rosso marrone, carica di tannino. Mentre si aspetta che
la carne cuocia faccio una passeggiata lungo la spiaggia sassosa
che si prolunga verso S. vedo tracce di un piccolo predatore, forse
una lontra. Non c'è nessuno intorno, sull'isola ci sono solo due
costruzioni che sembrano baracche militari abbandonate. Siamo proprio
alla fine del mondo. E c'è sole, calma tepore: credo che neanche
Bertrand sia mai stato qui in queste condizioni.
L'isola Horn (Hornos sulle carte cilene) è subito a S dell'Isola
Herschel. Mangiamo con gran gusto l'agnello e le patate alla brace
con le dita. Dopo pranzo laviamo quel poco che abbiamo usato con
la sabbia. E' sabbia di granito e pure di granito sono la maggior
parte dei sassi e delle rocce qui intorno.
Roberto, Mario e io, con Davide che però abbandona la partita quasi
subito, ci inoltriamo verso l'interno. E' un'esperienza notevole.
Prima ci troviamo a dover superare una ventina di metri di alberi
tormentati e pieni di licheni grossi come foglie. Il terreno è coperto
di rami caduti su muschio ed arbusti. Passata questa fascia si procede
a gran fatica sul muschio che è cedevolissimo (si sprofonda di buoni
20 cm. ad ogni passo). Non solo: è anche saturo d'acqua come tutto
il terreno intorno. Ci sono ancora faggi tutt'intorno, ma questi
sono nani, perché stiamo salendo al livello del terreno circostante
e non sono più protetti dal vento e forse anche dalla neve che non
consentono loro di crescere. Diventano più alti fino al livello
del terreno circostante solo nella forre che raccolgono l'acqua
e dove si intrecciano tra loro in modo da impedire del tutto il
passaggio. Si procede con grande fatica. Sul muschio cresce anche
un'erba dura alta forse 50 cm., cilindrica e sottile, disposta in
file: forse gli steli nascono da un'unica radice lineare. C'è anche
quell'erica/mirtillo che abbiamo individuato come "calafate".
Scopriamo che si può camminare molto meglio su un'erba dura e compatta,
bassa, i cui ciuffi formano delle stelline raso terra e le cui radici
sono inestricabilmente intrecciate formando un tappeto continuo
(per prenderne un po' devo tagliare il tappeto con il coltello).
Su questa si affonda molto poco, anche se l'acqua trapela dappertutto
e su quest'erba forma addirittura delle pozze e talvolta un velo
continuo. Ogni tanto spunta tra l'erba un piccolo faggio nano che
sotto le fronde nasconde un bacino d'acqua libero da muschio ed
erba. Non si vedono animaletti nell'acqua, ma non siamo rimasti
ad osservare con attenzione. In compenso non ce n'è neppure nell'aria:
niente zanzare! Uno dei fianchi della collina su cui saliamo è coperto
dall'erba in questione, così che l'ultimo tratto della salita è
più agevole.
Arrivati in cima col fiatone godiamo di una vista spettacolare
verso E. E' il tramonto ed abbiamo il sole di spalle. Ci accorgiamo
che se avessimo affrontato la salita più verso S avremmo forse potuto
vedere l'isola Horn, peccato. Il panorama è affascinante, davanti
a noi si apre la Bahia Arquistade e nel mezzo si scorge un'isola,
che io prendo per l'isola Barnevelt, che si trova a una decina di
miglia. Solo tornato a casa e sviluppate le foto mi accorgerò che
era invece l'Isola degli Stati, all'estremità della Terra del Fuoco,
a quasi 120 miglia di distanza da qui! Alla nostra sinistra c'è
una cresta dentata nera di picchi vertiginosi che sorgono sull'isola
Wollaston. L'aria si fa più fresca e il sole sta calando.
Ci affrettiamo a scendere, con meno fatica, anche perché dall'alto
è facile riconoscere le zone dove cresce la speciale erba dura sopra
il muschio. E' comunque un terreno molto difficile. Solo qualche
uccellino vola nei dintorni. Bertrand viene a prenderci in gommone
e così rientriamo in barca. Il cielo è rimasto limpido e quando
è buio ci attardiamo sul ponte a identificare le stelle, tra cui
spiccano riconoscibili Orione e la Croce del Sud. Accanto a questa
ci sono due stelle luminose vicine, nella costellazione del Centauro,
che identificherò più tardi per Rigil Centaurus (o Toliman) e per
Hadar (o Agena). C'è poi Canopo, tra queste e Sirio. Orione appare
verso W, rovesciato. Continua a non sembrarmi naturale che il Sole
stia verso N e che sorga a destra tramontando a sinistra. La notte
non potrebbe essere più calma e silenziosa.
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