Capo
Horn 1999 - Seconda parte |
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Dal
diario di Nanni |
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SECONDA PARTE
Lunedì 29/3/99 Caleta Martial, Isola Herschel - Capo
Horn - Caleta Baltazar, Isola Herschel
Ci si alza verso le 7 e dopo la solita ricca colazione si salpa
a motore alle 7,50. C'è poco vento, ma il cielo è coperto e i colori
sono tutti scuri, salvo dove sorge il sole sotto la copertura di
nubi, come penso ci si possa aspettare normalmente da queste parti.
La cima delle colline dietro di noi viene illuminata dal sole rivestendosi
di colori dorati molto belli. Il sole è sorto dal mare in modo nettissimo
lasciando vedere il taglio netto dell'orizzonte sul disco. Non so
se c'è stato il raggio verde perché non me lo aspettavo e non stavo
guardando.
Scivoliamo via col pilota automatico, come ieri. Passiamo tra l'Isola
Wollaston e l'isola Herschel, sulla quale eravamo ieri, viaggiando
in senso antiorario. Abbiamo contro di noi una forte corrente che
ci rallenta. La vegetazione terrestre arriva fino in basso, vicino
al segno dell'alta marea, indicazione che qui non entra mare. Solo
all'uscita dal canale Franklin, in cui siamo, si comincia a sentire
un po' di onda lunga. Davanti a noi dovrebbe essere visibile l'Isola
Hoste con le sue propaggini meridionali della penisola Hardy con
il Falso Capo Horn, ma non la riconosciamo anche perché le alture
sono tutte coperte da nuvole basse di un fronte freddo che si sta
avvicinando e il paesaggio è radicalmente cambiato da ieri. Siamo
stati incredibilmente fortunati ad aver potuto godere di una simile
giornata di calma e di sole. Tuttavia la calma che perdura anche
oggi ci dà un po' la sensazione di essere privati dell'emozione
dovuta alla fama del posto. Forse è meglio così, anche perché Bertrand,
sapendo che il tempo sta cambiando, è meno rilassato di ieri: ha
addirittura rimesso la colazione!
Dirigiamo per SSE q S sfilando a E dell'isola Hermite, la
più occidentale del gruppo delle Wollaston, e poi dell'isola
Hall, più piccola, che è alta e ripida. Dopo di essa e prima
di arrivare all'isola Horn, nella baia detta di S. Francisco,
cominciamo a sentire nettamente l'onda lunga proveniente da
SW. Dalla stessa direzione si nota una linea di nubi che chiudono
il cielo e che annunciano un fronte, probabilmente occluso,
che sappiamo sta ruotando intorno a una piccola depressione
che si è formata a S dell'alta pressione che ci sovrasta da
giorni. Il Capo Horn coperto di Nubi è alto quasi 500 m. Ci
avviciniamo alle sue nere rocce, fronteggiate da quelle che
si chiamano Rocce Cattedrale. Due o tre faraglioni triangolari
molto caratteristici. Finora c'era stata poca vita in mare,
ma ora intorno a noi vediamo molti cormorani, alcuni albatri
e un branco di delfini australi che viene a tenerci compagnia.
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Unica concessione alla latitudine è l'onda, le più alte superano
i tre metri e sono lunghe un centinaio.E' il respiro profondo di
un gigante addormentato. Su alcune rocce antistanti il Capo il mare
frange con potenza. Facciamo le doverose foto di gruppo, anche se
il Capo è coperto da nubi e non molto riconoscibile. Si vede pioggia
subito dietro di noi.
Bertrand mi fa prendere il timone. Issiamo la randa terzarolata
alla seconda mano e spegniamo il motore, issiamo poi anche il genoa.
Il vento proviene circa da W. Vedo con una certa eccitazione un
uccello delle tempeste: è piccolo come una sterna, nero, e vola
frullando le ali e restando con le zampe quasi a contatto dell'acqua.
Lo riconosco da questi particolari, ma i disegni che avevo visto
non ne rendono bene il caratteristico volo. Il vento cresce e filiamo
velocemente prima per doppiare la punta SE dell'isola e poi con
rotta quasi a N per passare tra l'isola Herschel e un isolotto che
la separa dall'isola Deceit, la più orientale dell'arcipelago.
La barca è docile leggera e veloce malgrado le sue 20 t.. Ci godo
proprio nel portarla con precisione, seguendo alla lettera le indicazioni
di Bertrand, con un tempo cupo e minaccioso come questo. Nel canale
troviamo di nuovo corrente contraria forse di un 3 n. Queste correnti
sono variabili e provocano dei discreti mulinelli. Passato l'isolotto
il mare si calma. Subito dopo il passaggio stringiamo il vento mure
a sinistra, come finora, e ci apprestiamo ad ancorare in una piccola
insenatura a S della baia Arquistade. Prepariamo il canotto e la
cima d'ormeggio (una di quelle da 200 m.), rientriamo il genoa e
poi la randa e a motore dirigo sulla macchia più folta di alberi.
Giù l'ancora in 7 m. di fondo, avanti per una trentina di m. poi
veloce virata a destra e marcia indietro, così da non allontanarsi
troppo mentre il canotto porta la cima a terra e le dà volta. La
barca viene traversata dal vento, normale, e Bertrand con un paio
di manovre, prima a marcia avanti verso terra e poi a marcia indietro,
aiuta a tendere la cima. Quattro di noi si preparano a scendere
a terra a a fare una passeggiata verso la cima in attesa del pranzo.
Io resto a bordo per prendermela comoda (schiena!). Intanto il tempo
si chiude ancora, il vento rinforza e piove, ma il mare è calmo
come non si potrebbe sperare di più. Questa è stata chiamata Caleta
Baltazar dagli amici di Bertrand, che l'ha scoperta quando era stato
bloccato qui per un bel po' col mare bianco nella baia, mentre qui
per pochi metri c'era poco vento. Al ritorno dei quattro si fa cena
con un pasticcio di pasta e centolla, pomodori e erbe di Provenza
che è favoloso. Si festeggia il passaggio di Capo Horn con un bel
sigaro per tutti, di quelli che ho comprato a caro prezzo a Ushuaia.
Poi finiamo la serata con chiacchiere e allegria.
Martedì 30/3/99 Caleta Baltazar, Isola Herschel - Puerto Toro
Colazione e partenza. Cielo coperto e vento: ha soffiato tutta
la notte e la stufa del quadrato (la nostra era spenta) ha sbuffato
più volte riempiendo di odore di gasolio semi bruciato tutta la
barca. Siv sta poco bene e resta in cabina. Facciamo subito vela:
randa con due mani di terzaroli e trinchetta. Non si parla di andare
a sbarcare a Capo Horn, purtroppo. Il vento è da WSW 20-25 nodi
con qualche raffica a 30. Pioviggina. Il tempo per questi posti
si può definire bello: non ci sono williwaws, le temutissime raffiche
catabatiche. Bisogna coprirsi bene: non fa caldo.
Avendo preso il timone alla partenza lo lascio quasi subito: ieri
avevo governato io da Capo Horn all'ancoraggio. Sto un po' fuori
fino a quando usciamo dalla Baia Arquistade scapolando l'estremità
E dell'isola Freycinet, fronteggiata da due grossi e alti roccioni.
Facciamo rotta per 355° su Punta Guanaco a SE dell'Isola Navarino.
Il mare è relativamente calmo perché è riparato dalle isole Wollaston.
Vado a distendermi un po' in cuccetta. Dopo una decina di miglia
sento che il movimento della barca si fa più marcato. Mi alzo perché
ormai dobbiamo essere ben dentro la baia Nassau e voglio vedere
com'è il mare qui. Sentendo un po' di appetito mangio un'arancia
e resto in quadrato a sfogliare il libro che Bertrand ha scritto
quando, vent'anni fa circa, è andato ad arrampicare in Georgia Australe
con una barca simile a questa. Il libro si chiama "Les Montagnes
de l'Océan" ed. Pen Duick. Mal me ne incoglie, nel senso più letterale.
Nausea, o almeno un suo principio. Tento di farmela passare andandomene
in cuccetta, ma è quasi peggio, anche se il movimento della barca
è molto più dolce di quello che il mare potrebbe indurre ad aspettarsi.
Allora mi rivesto ed esco, chiedendo di sostituire Renzo al timone.
Siamo a circa 10 mgn. dalla punta. Il mare è piuttosto confuso,
ma non particolarmente grosso. Qualche frangente, ma sono condizioni
simili a quelle di una leggera libecciata nel Mar Ligure. L'andatura
è tra il traverso e la bolina larga. Davide, che ha mangiato parte
dell'arancia anche lui, tenta di entrare perché sente freddo, ma
poi salta subito fuori e rimette. Può darsi che sia stato il fumo
di questa notte a disturbarci e non solo questo movimento. A me,
governando, la nausea passa dopo una mezz'oretta. La cerata ha del
"Pile" nel collo e nel berretto, che si rivelano due aggiunte eccezionali
per praticità ed efficacia. Quello che manca è un bel paio di occhiali
da sci, come ha Roberto e un bel paio di guanti da roccia, come
ha Piero: quelli da barca si bagnano.
Con il vento di questa forza gli albatross possono volare senza
battere le ali: salgono in verticale direttamente contro vento,
poi scivolano d'ala di lato, scendendo diagonalmente verso le onde
e prendendo velocità per poi ritornare nella direzione del vento
bassi sulla superficie del mare, dove la velocità del vento è inferiore
e guadagnando terreno; poi con l'aiuto di un'onda riprendono quota
e ricominciano il gioco. E' uno spettacolo che non ci si stanca
di ammirare. Sono albatross dal sopracciglio nero (Diomedea melanophris,
albatros ojeroso), che è ben delineato sopra l'occhio. Le ali sono
nere sulla faccia superiore e bianche su quella inferiore, con il
bordo anch'esso nero. Il corpo è bianco. Sono molto flemmatici e
non si scompongono se, posati sull'acqua, passiamo loro vicino.
I cormorani reali (Phalocrocorax albiventer, cormoran real) dal
ventre bianco, come dice il nome scientifico, sono dappertutto e
si mostrano più diffidenti. Ogni tanto si vedono anche delle Berte
(sono le berte maggiori delle nostre parti?), tutte scure, e qualche
berta gigante (Macronectes giganteus, petrel gigante del sur) o
forse albatro fuligginoso (Phoebetria palpebrata, albatross oscuro
chico) , non sono riuscito a capire quale dei due tipi, il primo
dovrebbe avere il becco giallo, mentre entrambi sono di livrea nerastra.
Nel Paso Gorée, tra Navarino e Lennox, il mare si calma e il vento
diminuisce, ridondando, così issiamo anche il genoa. Per poco non
investiamo un cormorano che stava riemergendo proprio sotto la barca
e che scappa starnazzando, con nostra ilarità. Il cielo intanto
si schiarisce un po' e ci lascia veder bene tutta la costa della
Terra del Fuoco e anche qualche propaggine dell'Isola degli Stati.
E' questa una meta che mi piacerebbe toccare: mi sembra che sia
un posto ancora più selvaggio di quelli che abbiamo visitato. Procediamo
con calma fino a una baietta meravigliosa proprio a S di Puerto
Toro, dove un'isoletta boscosa e collegata alla terra da un tombolo
che rimane scoperto a bassa marea. Questa era la zona dove saremmo
dovuti arrivare durante la nostra gita a piedi di qualche giorno
fa. Ancoriamo in 5 metri d'acqua con 25 m. di catena (non è un po'
poco?) senza mettere cime a terra. Il ferro tiene benissimo. Restiamo
quindi alla ruota e ci apprestiamo a cenare. Due foche fanno capolino
dietro di noi.
Bertrand, che cucina al posto di Siv, ci prepara un filetto, che
io e altri tre prendiamo condito con salsa al roquefort: la più
buona carne che io abbia mai mangiato, anche se l'atmosfera potrebbe
falsare il mio giudizio! Il tutto con patate fritte. Mentre mangiamo
con gusto ed allegria arriva inatteso Carlos, l'"indigeno", con
un suo collega portandoci cinque centolla e chiedendo in cambio
un po' di sigarette. (Ho verificato: il costo delle centolla in
scatola in Italia viaggia sulle 300.000 lire al Kg.!). Parliamo
un po', ma hanno fretta di ritornare a casa. Dopo cena usciamo un
attimo per dare un'occhiata alle stelle, che il cielo ci lascia
ora vedere. Si balla un po', infatti Carlos ci ha detto che non
è un posto ben ridossato per via della risacca. Andiamo a letto.
Mercoledì 31/3/99 Puerto Toro - Puerto Williams
Sveglia e via a motore verso Puerto Williams dove bisognafare
le pratiche per recarsi ai ghiacciai e dove potremo telefonare,vedere
il piccolo museo, magari anche acquistare qualche carta nautica.
Il cielo è coperto, il vento viene da NW e pioviggina. Ormai
il mio mal di schiena è praticamente passato. Gli abiti nuovi
e quelli appositi per il freddo vanno benissimo. Mentre alcuni
sono fuori io resto un po' sottocoperta a scrivere e a passare
il tempo.
Quando entriamo nell'asse del Canale Beagle, però, all'altezza
dell'isola Barlovento, una piccola isola che si trova un po'
più a E dell'isola Gable, esco e rimango fuori a guardare.
Stiamo andando sempre a motore con il pilota automatico. Il
vento viene di prua ed è abbastanza fresco, forse sui 25 nodi.
Vediamo bene alla nostra destra la zona dove sorge l'Estancia
Harberton, uno dei primi insediamenti in queste zone. In effetti
tutta questa parte, attraverso la quale stiamo passando, cioè
il Paso Mackinlay con l'Isola Gable e le altre
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isole e penisole minori e le zone corrispondenti a terra, è chiaramente
quello che rimane di una grande morena terminale lasciata dall'immenso
ghiacciaio che doveva percorrere il Canale Beagle durante la glaciazione.
Come entriamo nel Paso veniamo a beneficiare, si fa per dire, di
una corrente favorevole. Andrebbe bene se, essendo questa contro
vento, non alzasse un mare ripido, corto e cattivo che ci rallenta
notevolmente. E' la prima volta che assisto a un fenomeno del genere
con questa evidenza e mi immagino cosa può diventare il mare quando
ci fossero onde più grandi di quelle sollevate dal relativamente
piccolo fetch e moderato vento che abbiamo. Credo che stiamo impiegando
un paio d'ore per percorrere sei o sette miglia.
Avvicinandoci a Puerto Williams, ormai fuori della "race", così
si chiama la zona dove la corrente alza il mare, stacchiamo il pilota
automatico e prendo io in mano il timone per fare le ultime due
o tre miglia. Per la prima volta mi chiudo bene tutta la bardatura
della cerata intorno alla faccia, perché mi si sta gelando lo zigomo
destro fino a farmi male. Così chiuso sto confortevolmente. Attracchiamo
senza problemi più o meno dove eravamo la volta scorsa, cioè a monte
del piroscafo arenato "Micalvi" che fa da pontile, in terza fila.
Il porto è anche piuttosto ben riparato dal vento. Sembra che da
queste parti si stia meglio dove la protezione è offerta da colline
basse, piuttosto che da rilievi più alti, dove sembra che i williwaw
siano micidiali (anche se il vento può esser forte dappertutto,
pare). Mangiamo a pranzo tardivo le centolla di Carlos senza riuscire
neanche a finirle. Poi andiamo in paese a telefonare, così a casa
staranno tranquilli, sapendoci scampati a Capo Horn. Le notizie
da casa sono buone per tutti, meno male. Facciamo poi visita al
museo locale, dove ci sono foto degli ultimi indios e alcune altre
curiosità locali, e ritorniamo in barca.
Per incredibile coincidenza c'è qui una barca che fu di proprietà
di un mio zio una ventina di anni fa...! Questo diventa l'argomento
del giorno. Sono tutti molto eccitati dalla storia, tanto che la
notizia viene propagata da Siv e Bertrand che li contagiano con
la loro agitazione. La cena offre filetto con contorno di riso,
ottimo. Dopo cena visitiamo il Club Nautico ricavato nella nave,
ambiente assai caratteristico, tutto decorato con i guidoni delle
barche in visita. Lì lascio un piccolo scritto nel libro dei visitatori,
che firmiamo tutti, compreso Bertrand. C'è nel Club anche il marinaio
della barca di mio zio che mi invita a visitarla. L'hanno tutta
rifatta perché era stata affondata a Dubrovnik durante la guerra
in Bosnia e Croazia. Ricuperata ed inviata in Cile, hanno riparato
i fori dei proiettili, conservando scafo e alberi, ma rifacendo
tutti gli interni e gli impianti. Dentro è tutta luccicante, vernice
dappertutto e granito intorno ai lavelli. Sembrano finiture un po'
fragili per un uso intensivo, ma l'effetto è da barca nuova. C'è
la targa messa da mio zio per ricordo del suo giro del mondo, col
mappamondo, la rotta e incise la sua bandierina e quella dei Fratelli
della Costa. Le faccio una foto per ricordo. Commovente. Poi, tardi,
andiamo a nanna.
Giovedì 1/4/99 Puerto Williams - Caleta Olla
Roberto si alza alla cinque invece che alle sei e viene rimandato
a dormire. Noi, invece, ci svegliamo alla sette. Poco male. Colazione
e partenza, ancora a motore, pilota automatica e un po' di randa.
La giornata si apre presto e diventa tutto sereno con il sole: bellissimo.
Nei giorni scorsi la neve che era caduta al nostro arrivo in Terra
del Fuoco si è sciolta, mentre gli alberi stanno prendendo appena
appena una tinta autunnale. Siv fa da mangiare, pulisce la barca
e controlla che l'interno sia in ordine (valvole , osteriggi, ecc.),
mentre Bertrand si occupa della navigazione e della manutenzione,
come quella della pompa dell'acqua che fa capricci ogni volta che
il serbatoio di lavoro, di 25 l. si svuota e va riempito di nuovo.
Questo è il sistema che utilizzano per controllare il consumo dell'acqua.
Ieri sera è arrivata una barchetta svizzera di 27 piedi, con una
giovane e bella coppia e due bambini, che era partita da qui qualche
tempo fa, è andata a Tahiti, ha girato un po' da quelle parti, è
passata dall'Isola di Pasqua, è rientrata in Cile e con una quinta
persona raccolta a Puerto Natales è rientrata qui. Bell'impresa!
Non c'è molto vento, una decina di nodi al più. La giornata è diventata
splendida, anche se ogni tanto passa qualche nube. Le montagne davanti
a noi, verso W, si avvicinano pian piano. Le rive del canale, mentre
procediamo verso Ushuaia, dove non sbarcheremo, diventano più dolci
e collinose, soprattutto sulla riva S appartenente all'Isola di
Navarino. Ushuaia appare molto estesa, dal nostro punto di osservazione.
Ci avviciniamo agli scogli che punteggiano il canale, specialmente
all'isola Les Eclaireurs, dove c'è anche un battello di turisti,
venuti a fotografare i leoni marini (Otaria byronia, lobo marino
de un pelo). Rallentiamo e ci avviciniamo anche noi. E' un grosso
scoglio lungo un centinaio di metri e largo una ventina, abbastanza
liscio, coperto di uccelli e di leoni marini e circondato dal kelp.
Facciamo un paio di giri intorno scattando foto a più non posso.
In acqua alcune foche giocano tra loro, molto attraenti. Sono contento
di avere un'attrezzatura che mi consente di fotografarle in primo
piano, anche se con qualche difficoltà: speriamo che poi le foto
vengano bene. Abbiamo preso un'alga nel timone, che sfiliamo facendo
un po' di retromarcia.
Riprendiamo la nostra rotta mentre dalla cucina salgono profumi
di torte che fanno venire l'acquolina in bocca. Approfitto della
relativa lontananza dalla costa che si tiene in questo tratto per
andare a dormire per un'oretta. Quando mi sveglio è arrivata l'ora
del pranzo: empanada a base di centolla, melanzane, zucchine e pomodori,
buonissima. Arriva un'altra empanada con cipolle e per finire una
torta al cioccolato farcita con uno strato di banane e uno di marmellata.
Il cielo si è coperto, stiamo infatti aspettando che arrivi una
piccola depressione. Dopo pranzo mi vesto ed esco. Il mare è piatto
come una tavola. Navighiamo piuttosto vicini alla costa. Qui si
direbbe di essere sul Lago Maggiore dall'aspetto dei monti, ma la
vegetazione, l'aria e l'assenza di segni umani rendono il paragone
solo letterario. Ci sono pinguini dappertutto, che nuotano come
anatre, come avevamo già osservato.
Ha cominciato a piovigginare. Dai monti proviene un discreto
odore di bosco bagnato, che finora non avevamo sentito. Gli
alberi sulle rive sono spesso piegati verso E dal gran vento
dell'Ovest che deve soffiare da queste parti. La barca va
come sui binari: basta tenere fermo il timone (abbiamo staccato
il pilota automatico, così abbiamo qualcosa da fare anche
Roberto e io: mentre governiamo ci godiamo in grande sintonia
questo paesaggio). Sfiliamo lungo la costa dove non si vede
nulla che si muova, tranne pinguini, cormorani e qualche gabbiano,
forse anche qualche oca. Pare che ogni tanto si riesca a intravedere
anche qualche guanaco (Lama guanicoe), benché siano molto
timidi. Ormai nubi e nebbia cancellano la vista del canale
davanti a noi, facendoci prevedere l'arrivo anche del vento.
Ogni tanto un torrente scende dai monti e crea in mare qualche
piccola lingua di terra che si protende nel canale. Sulle
montagne si comincia a intravedere neve e qualche lingua di
ghiaccio. Avvicinandoci alla biforcazione che divide il canale
in due bracci orientati approssimativamente per WSW e WNW
rispettivamente, si alza il vento, che aspettavamo, e in cinque
minuti arriva a 25-30 nodi.
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Ormai siamo da un pezzo al timone, Davide governa in questo momento,
e facciamo dei bordi per non far sbattere la randa, perché il vento
varia frequentemente direzione. La biforcazione del canale è un
punto di relativa calma, per via dell'incontro delle due correnti
d'aria che scorrono da Ovest nei due bracci. Poco dopo prendo io
il timone all'altezza dell'isola del Diavolo, che segna l'ingresso
del braccio di NW (luogo di leggende truci), e subito il vento rinforza,
mentre mi dirigo su Caleta Olla, che percepisco invece come un tratto
di canale aperto appena appena riparato dietro un promontorio alto
una ventina di metri, il quale crea uno sbarramento ad angolo retto
con la parete rocciosa a picco che sta dietro. Ora il vento supera
i 40 nodi.
Sulla nostra destra si apre il fantastico ghiacciaio Olanda, con
una cascata di quasi 2000 m. di ghiaccio color acquamarina, ancora
più sorprendente nel grigiore della sera (sono ormai le 19). Dirigo
verso la cala facendo attenzione ai ghiacci galleggianti (!) che
però non vedo. Non capisco cosa voglia fare Bertrand, perché siamo
molto vicini al promontorio, venti, trenta metri, e non c'è spazio
per mettersi contro vento, fermarsi e calare l'ancora. All'improvviso
si apre dietro il promontorio una baia, forse di 200 m. di diametro,
calmissima nel bordello generale, che finisce contro la parete a
picco. Viro subito a sinistra dentro la baia e lì si cala l'ancora
a non più di 50 m. da terra, in 15 m. d'acqua. A 20 m. da terra
ce ne sono ancora 5 di fondo, un po' come a Porto Liscia, in Sardegna.
Niente vento, qui. A terra una quinta di faggi alti e dritti funziona
da frangivento: una favola.
La caletta è contornata da una spiaggetta a forma di mezzaluna
che termina contro la parete, dove restano rocce e un po' di alberi.
Piero e Roberto portano (sempre i primi nei compiti faticosi) una
cima a terra, poi rifacciamo l'ancoraggio per scostarci un po' di
più da riva. Mettiamo in ordine il ponte, poi facciamo cena con
uova, scatolette, formaggi, ecc. e allegria. Bertrand riceve, come
ogni sera, la carta meteo che mostra una profonda depressione in
avvicinamento, tanto anomala quanto le alte pressioni dei giorni
scorsi. Lui pensa che domani ci saranno almeno 60 nodi di vento,
ma qui dovremmo rimanere tranquilli, infatti si sente il vento fischiare
sulle cime degli alberi mentre qui siamo riparati. Siamo completamente
chiusi dalla parte del canale. Domani andremo a terra, magari in
visita al ghiacciaio, me certo a vedere che effetto fa un tale vento
nel canale. Tanto dovremo stare qui ad aspettare che la depressione
passi. Meglio qui che a Capo Horn: Bertrand dice che là il mare
sarà spaventoso.
Su questa barca lui traversa per l'Antartide con il pilota automatico
a vento Aries, controlla la rotta con il radar e tiene tutto chiuso
restando dentro. Se il vento è molto forte tiene solo la trinchetta
senza la randa. Dice che avrebbe bisogno di una quarta mano, per
tenere anche la randa e dare maggior stabilità alla randa, perché
la terza mano la lascia ancora troppo grande. Ha una sistemazione
delle manovre e una solidità che fanno invidia. Devo dire che, come
scafo, non ne ho visti di più adatti. Le sistemazioni interne e
il pozzetto lasciano invece un po' a desiderare. Favolosa la chiglia
mobile. E' tenuta da un perno di 20 cm. Che viene appoggiato su
una V di acciaio e mantenuto in loco da un'altra V rovesciata imbullonata
alla precedente, tutto qui. Notevole il tientibene che corre ai
due lati del boma e i rulli con le cime d'ormeggio. Si potrebbe
anche pensare di mettere un rullo con una cinghia di tela, come
abbiamo visto fare in Svezia. Buoni anche gli attacchi delle mure
di terzaruolo, con golfari avviati sull'albero e moschettoni che
fermano degli anelli cuciti su cinghie pendenti dagli occhielli
delle mure. Le borose passano su bozzelli legati agli anelli di
scotta della randa. Anche la randa viene issata con un paranco.
Strozzascotte ben fatti dappertutto.
Venerdì 2/4/99 Caleta Olla
Il vento ha soffiato forte nella notte, ma questa mattina è calmo
e limpido. Ci alziamo con tranquillità e, dopo colazione, scendiamo
a terra con l'intenzione di salire, se possibile, fino al ghiacciaio.
Mentre ci prepariamo Bertrand porta a terra uno stinco di agnello
che aveva conservato fin dalla crociera precedente per darlo a una
volpe (Dusycion culpaeus lycoides, zorro colorado fuegino o chulepo)
che abita il bosco dietro la spiaggia. Lo lega a un ramo per crearle
un po' di difficoltà, ma la volpe è più abile di quanto non credesse
e riesce a slegarlo e a portarselo via in un attimo.
Bertrand dice che c'è una traccia che sale accanto alla cascata,
che dovremo cercare, che è stata segnata anni fa da una spedizione
francese andata al ghiacciaio. Con queste poche indicazioni ci avviamo,
senza stabilire una precisa ora di rientro. Perdiamo presto la strada,
anche perché tra noi ci sono dei montanari che quando vedono una
salita si eccitano di più di quanto la loro capacità di esploratori
lo consenta. Siccome le loro scelte di percorso non mi convincono,
prendo con Davide un'altra strada, mentre Renzo, disgustato dalla
difficoltà del procedere, ha già deciso di ritornare. Ritornando
verso il basso ritroviamo rapidamente il sentiero che attraversa
una torbiera, situata nella piana retrostante la spiaggia e che
avevamo a tutta prima evitato perché satura d'acqua.
Il sentiero comincia a salire proprio dopo aver raggiunto un torrente
che scende spumeggiante da una valle pensile. Gli altri, respinti
alla fine dal terreno, ci raggiungono. Anche qui il suolo è pieno
d'acqua, perfino sulle rocce quasi a picco, tutto coperto di muschio.
Saliamo con fatica sulle deboli tracce di precedenti passaggi. Per
fortuna alberi e arbusti ci forniscono appigli sufficienti e ci
aiutano a salire. Le tracce sono spesso confuse e non è facile dal
basso individuare il percorso più efficace.
Ci fermiamo infine su una gobba rilevata che sovrasta la torbiera
e da cui si gode una vista stupenda della baia e dell'antistante
canale. Facciamo un po' di foto. Si vedono la barca sotto di noi
e il ghiacciaio sopra. Io ho profuso tutte le mie energie e sono
stremato. Così pure Davide, che ne ha avuto abbastanza, visto che
non ama la montagna. Lui e io decidiamo di rimanere, mentre gli
altri proseguono fino al ghiacciaio. E' mezzogiorno e c'è vento
che viene giù dalla montagna.
Rimaniamo un'oretta ad attendere che il sole giri e illumini la
barca per farle una foto. Il sole gira da destra a sinistra, logicamente,
poiché guardiamo verso N al contrario dell'emisfero boreale, ma
io non mi sono ancora abituato. Raggiunto l'obbiettivo iniziamo
a scendere. La discesa si rivela molto più facile e si capisce che
le tracce sono in gran parte lasciate dai guanachi, di cui rimangono
anche altri segni... meno labili. Però ci bagniamo comunque i piedi.
Raggiunta la spiaggia ci uniamo a Bertrand e a Renzo che stanno
porgendo pezzi di carne a una piccola volpe, figlia della ladra.
Con titubanza e mille giravolte questa arriva a prenderli perfino
dalla punta delle scarpe. Non si fida abbastanza o non ha più abbastanza
fame per spingersi fino a prenderli dalla mano. Davide e io andiamo
poi a vedere il panorama dalla cima del promontorio poco elevato
che chiude la baia e intorno al quale abbiamo navigato ieri. Arriviamo
in tempo per veder passare una fila di pezzi di ghiaccio, bianchi
sull'acqua blu, che la veloce corrente ha trascinato via da un ghiacciaio
situato poco più a W, che scarica direttamente in mare.
Di qui si vede l'acqua della baia lattiginosa per i sedimenti che
un torrente trascina già dal ghiacciaio Olanda, sfociando davanti
a noi all'estremità della parete a picco che chiude a N la baia.
Forma delle curiose onde di densità che la rendono zebrata. Il ghiacciaio,
di cui si vede la groppa, è oggi molto più sottile che nel recente
passato, a giudicare dai fianchi molto più elevati della morena
laterale, non ancora colonizzata dalla vegetazione. Non mi stupirei
che un centinaio di anni fa il ghiacciaio arrivasse al mare, come
si potrebbe forse dedurre dalle vecchie carte dell'Ammiragliato
Britannico. Nella baia nuotano numerosi pinguini che di tanto in
tanto lanciano un grido rauco.
Alle 16,15 i tre non sono ancora tornati: ma vogliono fare mare
o montagna? Bene, arrivano proprio mentre stavamo per metterci a
mangiare, si vede che hanno un sesto senso per queste cose... Devono
attendere un po' prima che si possa andare a prenderli perché Bertrand
sta riempiendo il serbatoio della stufa e così noi non perdiamo
l'occasione per prenderli un po' in giro. Sembra che fame e stanchezza
non permettano loro di essere molto spiritosi (e te credo!). Comunque
mangiamo tutti di buon appetito ed umore una specie di cassoeula
con salsicce, ottima anche questa. La sera parliamo di barche (strano!)
e scrivo un po' della relazione tecnica. Questa notte il tempo non
potrebbe essere più calmo.
Sabato 3/4/99 Caleta Olla - Ghiacciaio Garibaldi
Partiamo a motore per il ghiacciaio Garibaldi. Sulla spiaggia c'erano
le volpi, madre, padre e tre piccoli. C'erano anche due "caranchi"
(Polyborus plancus), rapaci alti una quarantina di cm. dall'aspetto
e il portamento di mafiosi (portano anche la coppola! una copertura
di penne nere sulla cima della testa) che camminano in coppia cercando
residui di cibo. Dicono che becchino gli occhi delle pecore perché
queste, accecate, cadano nei dirupi e muoiano, così da fornir loro
il cibo: simpatici!
Il barometro si sta abbassando rapidamente. La giornata però è
splendida: ci sono nuvole lenticolari sulle montagne e si vede che
lassù il vento è forte.. Qui nel canale il vento arriva dall'alto,
non dall'asse del canale stesso, molto caldo e secco, come foehn.
Sfiliamo lungo la riva N. In alto, una valle dopo l'altra, si aprono
panorami meravigliosi sui diversi ghiacciai che ci sovrastano e
che hanno una colorazione blu intensa. E' una visione grandiosa.
Il mare è calmissimo. Le rive passano davanti a noi senza un segno
di presenza umana. Non ci sono neanche tracce di guanachi, come
abbiamo invece visto ieri. Cime, ghiacciai, morene, cascate, boschi,
tundra. Il canale si apre lentamente verso W. All'inizio somiglia
a un fiordo norvegese o meglio alla val Veny, perché le cime sono
aguzze e non piatte come in Norvegia. Poi si allarga sensibilmente.
Ogni tanto si apre una vallata che contiene un ghiacciaio che scende
fino in basso. Talvolta la morena terminale di questi ghiacciai
spunta dall'acqua, più spesso è sommersa e ci costringe a deviare
verso il centro del canale. Il ghiaccio ha un colore blu acquamarina
favoloso. In alto si possono vedere alcuni condor in volo, ma sono
molto in alto. E' difficile esprimere a parole il senso di grandiosità
che si riceve da queste contrade.
Il canale piega leggermente più a S e sembra aprirsi nell'oceano
Pacifico, ma è solo una sensazione, perché ci sono molte isole che
si frappongono. Mentre ci avviciniamo all'entrata del fiordo Garibaldi,
l'orizzonte a W comincia a velarsi: è la perturbazione che arriva.
Le montagne sull'isola Gordon, a S, quella che ci separa dall'isola
Hoste, hanno una fascia di rocce rosse poco sotto le cime. Entriamo
nel fiordo evitando anche qui il residuo di una morena terminale,
attenti alle segnalazioni dell'ecoscandaglio. Peccato che gli strumenti
siano solo dentro.
Qui le pareti sono più ripide che nel canale principale. Il vento
viene già a forti raffiche che sollevano l'acqua dal mare. Sui fianchi
del fiordo si vedono le tracce di frane che hanno ripulito la roccia
liscia sottostante, come slavine. Si notano chiaramente anche le
zone dove ce ne sono state in passato e che sono ormai ricoperte
da vegetazione più bassa. Da quando abbiamo lasciato Caleta Olla
sono quasi spariti i gabbiani e lo sono del tutto gli albatross,
mentre sono rimasti pinguini e cormorani.
Alla sinistra c'è una roccia su cui c'è dipinta una scritta che
ricorda il passaggio dell'Eugenio C. e della Federico C., disturbando
terribilmente la solitudine e l'isolamento del luogo (ah, italiani!).
Tutt'intorno a noi ghiacciai e cascate. In fondo al fiordo c'è una
"curva" a destra, prima della quale si trova un isolotto con una
piccola spiaggia e degli alberi dritti, dove ci fermeremo per la
notte. Sopra di noi volano tre condor, uno dei quali, girando, mostra
la parte superiore dell'ala, che ha delle barre bianche. Girato
l'"angolo" si rivela la fronte del ghiacciaio che scende nel mare;
ce ne sono altri due ai lati. I colori azzurri del ghiaccio sono
molto belli, ma il cielo è ormai grigio e scendono gocce di pioggia
che pungono come aghi. Ci fermiamo per vedere i pezzi di ghiaccio
che, staccandosi dal fronte, cadono in mare, provocando grandi onde.
Lo spettacolo è divertente e ci impegniamo a indovinare quale dei
contrafforti cadrà per primo. Si sentono i boati dei pezzi che cadono,
come fucilate e poi rombi di tuono, qualche volta anche nella seraccata
dietro il fronte del ghiaccio. Quando cade, i pezzi dl ghiaccio
si distendono sulla superficie dell'acqua e la corrente li fa scivolare
via. Bertrand è al timone e ci fa fare diversi giri per darci modo
di godere a fondo dello spettacolo. Vicino al bordo del ghiaccio
galleggiante, dove acqua dolce e salata si incontrano, cormorani,
pinguini, gabbiani e qualche foca si affollano, probabilmente perché
lì c'è pesce.
Ridiscendiamo il fiordo per ancorarci dietro l'isoletta, per circa
un miglio. Sempre con la cima a terra. Io e Davide scendiamo a terra
per salire in cima all'isola, da cui si può vedere il ghiacciaio.
La roccia è uno gneiss, lisciato dall'antico ghiacciaio, con la
solita copertura di tundra e, più in basso, di alberi. C'è anche
una coppia di oche (Chloephaga hybrida, cauquen costero), lui bianco
e lei nera marmorata, con quattro o cinque figlie. La sera parliamo
di sicurezza in mare. Stelle in cielo prima di andare a letto.
Domenica 4/4/99 Pasqua, Ghiacciaio Garibaldi - Fiordo Pia
Questa notte abbiamo avuto vento e pioggia, così questa mattina
le montagne sono coperte di neve fino a un centinaio di metri sopra
di noi. Facciamo colazione con un panettone e subito dopo partiamo
per andare a vedere un altro fiordo, il seno Pia, a una decina di
miglia da questo. Invece di dirigerci subito verso S, facciamo una
puntata verso il ghiacciaio, dove dovrebbe esserci un gruppo di
foche con la loro nursery. Là non troviamo niente, invece più a
valle ce n'è un'altra abitata, sulla costa W a un miglio circa dal
nostro ancoraggio. Ci sono diversi avvoltoi dalla testa rossa (Carthares
aura, jote cabeza colorada), dei falchi la cui specie non individuiamo
e una quantità di piccoli di foca che giocano nell'acqua vicino
alle rocce. Il posto è una zona dove c'è stata in passato una frana
di crollo e dove, quindi, ci sono molte rocce ammonticchiate che
facilitano, si fa per dire, la risalita dall'acqua e presentano
superfici lisce per sdraiarsi. Il resto delle rive è solitamente
a picco, tanto che si può anche avvicinarsi a pochi metri con la
barca. Le foche o leoni di mare fanno un sacco di rumore, muggiti
e ruggiti.
Piove e nevica, però c'è stato anche per un attimo un po' di sole
verso l'imboccatura del fiordo. Spegniamo il motore e srotoliamo
il genoa. L'acqua è calma. Bertrand controlla dall'interno, riscaldato,
con il radar, mentre Siv, in cucina, prepara cose succulente. Dopo
essere stati fuori per un po' si rientra volentieri. E' una curiosa
navigazione, che cambia molto in funzione del posto: dove il canale
è stretto, le nuvole basse rendono l'aspetto dei luoghi particolarmente
cupo, mentre dove lo spazio è maggiore c'è più luce e l'aspetto
diventa più simpatico. Qua e là spunta un musetto di foca. Fa freddo.
Attaccato il pilota automatico entriamo a mangiare. Dentro si sta
al caldo, spesso superiamo i 25 gradi. Bertrand controlla sempre
la rotta con il radar. La sistemazione, con la stufa in funzione,
è veramente confortevole.
Risaliamo nel fiordo Pia per andare ai ghiacciai ma il tempo è
sempre più chiuso e alla pioggia subentra la neve. Bertrand, quasi
alla fine, fa dietro front per non privarci della sorpresa che la
vista dei ghiacciai, che sembra siano i più spettacolari, dovrebbe
riservarci l'indomani. Oggi, con le nuvole a non più di 100 m. di
altezza, non gusteremmo lo spettacolo. Ancoriamo in una delle piccole
cale che ci siamo abituati a utilizzare e che sono, per conto loro,
una piccola meraviglia, quasi incredibile per la loro calma e per
l'ambiente incontaminato che ci circonda. Quest'ultima cala è solo
una fessura tra una scheggia che esce dalla parete e la parete stessa,
tanto che si deve salire sulla roccia verticale per un paio di metri
direttamente dal gommone per trovare un albero.
Passiamo il resto di questo pomeriggio di Pasqua a scrivere, leggere
e chiacchierare. Purtroppo i miei compagni non amano che io suoni
l'armonica: all'inizio, quando mi ero messo d'impegno, avevo prima
chiesto se disturbavo, ottenendo un gentile diniego, ma subito con
una scusa o un'altra se ne sono andati tutti: non c'è stato bisogno
di altre spiegazioni! Ora suono quando sono solo al timone.
Lunedì 5/4/99 Fiordo Pia - Caleta Borracho
Questa notte abbiamo avuto prima vento, poi anche pioggia. Spesso
andiamo a letto con la stufa di prua accesa e l'osteriggio un po'
aperto, ma durante la notte qualcuno si alza sempre a spegnerla
perché dopo un po' fa troppo caldo. Altre volte la spegniamo addirittura
prima di dormire. Stamattina il cielo è ancora coperto, anche se
non tanto come ieri. La neve caduta ieri si è sciolta in parte.
Salpiamo e torniamo dai ghiacciai.
Lo spettacolo qui è davvero stupendo: ci sono tre ghiacciai che
convergono, senza unirsi. Quello di sinistra è il più grande e finisce
direttamente in mare. Quello di centro precipita dall'alto per un
centinaio o più di metri, ricostituendo una lingua nella valle sottostante,
tutta nera per le pietre che vi cadono sopra, e arriva quasi al
mare. Il terzo, a destra, si arresta sopra una specie di basso gradino
proprio sopra il mare. L'acqua in fondo al fiordo è tutta coperta
di ghiacci alla deriva, tra i quali ci addentriamo per vedere meglio.
La barca risuona quando si colpiscono i pezzi di ghiaccio più grandi,
ma lo scafo non patisce.
Sordi brontolii, colpi lontani e rombi di tuono risuonano di continuo
tutt'intorno: sono i rumori del ghiacciaio che si muove riassestandosi
e facendo crollare seracchi e pezzi di ghiaccio. Riusciamo a vedere
alcuni crolli nell'acqua. Purtroppo il tempo stringe e dopo quasi
due ore, che sono trascorse in un attimo, dobbiamo andare.
Nel fiordo Pia non c'è vento e così lo percorriamo tutto a motore.
Però quando entriamo nel canale Beagle, dopo aver superato lo sbarramento
della morena terminale (qui è segnata da alcuni enormi massi proprio
sul livello dell'acqua) si alza un po' di vento. Mangiamo tutti
insieme dentro e dopo pranzo Mario prende il timone, togliendo l'automatico.
Resto fuori anch'io un paio d'ore a tener compagnia, prima a Mario
e poi a Renzo. Piove. Il vento è dapprima variabile in intensità,
poi cresce fino a circa 30-35 nodi. Non è facile governare perché
viene dai quartieri di poppa e le raffiche sono piuttosto variabili
anche in direzione. Continua più o meno così per tutto il braccio
di NW. Rinforza un po' dove il canale ridiventa unico, raggiungendo
verso sera i 40 nodi e alzando un mare corto e ripido di poppa.
Ci infiliamo in una caletta sulla costa N dell'isola Hoste, cala
Borracho, difficile da individuare e segnalata da uno straccio (sic!)
legato a un albero: non è infatti prudente perder tempo a riconoscere
la costa mentre vento e corrente spingono violentemente verso gli
scogli delle Rocas Peron che fronteggiano la costa poco prima del
canale Murray, tra l'isola Hoste e la Navarino. La caletta è circondata
da alti alberi diritti bellissimi ed è ben ridossata sia dal mare
che dal vento. E' evidentemente frequentata da pescatori che hanno
lasciato qui delle cime galleggianti piuttosto ingarbugliate. Ci
ormeggiamo con ancora e tre cime a terra, non è stata una bella
manovra, molto confusa, ma va bene così.
Il cielo che si era un po' aperto al nostro arrivo si richiude
e ricomincia a piovere, sono delle acquate con tutto buio all'intorno,
nel canale di cui non si vede null'altro se non le scure pareti
vicine a noi, tagliate in alto dalle nubi. E' quello che Bertrand
definisce "tiempo austral" ("de mierda", aggiungo io). Oggi, col
vento forte, si vedevano intorno a noi delle berte giganti, che
volano comunque come gli albatross.
Credo che nelle condizioni odierne sarebbe stato veramente difficile
risalire il canale, ma, giustamente, chi è da queste parti viaggia
solo col tempo favorevole, solo una vedetta militare andava verso
W e l'abbiamo incrociata poco prima di infilarci nell'ancoraggio.
Dopo cena Bertrand ci racconta un poco delle sue vicissitudini
con questa e con le barche precedenti. Problemi costruttivi, disalberamenti,
processi al costruttore finiti in niente, perdita di una barca,
ecc. Interessante e istruttivo.
Martedì 6/4/99 Caleta Borracho - Puerto Wiliams
Piccola escursione a terra. La baia è contornata dalla foresta
che, vicino alla spiaggia, è formata da alberi grandi, i più grossi
che ho visto da quando siamo qui. Il sottobosco è costituito quasi
unicamente da piccole felci, mentre abbondano tracce dei pescatori,
che non vedevamo per fortuna da qualche giorno. Moltissime le cacche
di guanaco. Ci sono anche molti tumuli che sono probabilmente mucchi
di conchiglie accumulate dagli indigeni che abitavano da queste
parti. Non si possono scavare, naturalmente, né si vedono punte
di freccia o arpioni sparse a terra nei dintorni.
Il posto è molto bello, anche se meno selvaggio e isolato dei tre
ancoraggi precedenti. Mi fermo su una pietra davanti alla barca
e degli uccellini mi volano in torno a portata di mano, si vede
che viene qui poca gente. Faccio alcune foto, anche perché c'è il
sole, mentre Piero gioca a rimbalzello.
Ci prepariamo a partire e con la sola trinchetta issata iniziamo
a scendere nel canale. Il vento è forte, direi 35/40 nodi. Il mare
è più formato di ieri, anche perché abbiamo sempre più acqua dietro
di noi. Si va come dei treni ed è veramente bello: il mare intorno
a noi è tutto bianco. La barca è molto stabile e leggera al timone.
Ci diamo naturalmente i turni, perché tutti desiderano governare
in queste formidabili condizioni. Poco prima di arrivare a Puerto
Williams il vento diminuisce e Bertrand sostituisce la trinchetta
col genoa.
Le foreste sulle montagne stanno prendendo il colore autunnale,
dove era arrivata la neve.
Attracchiamo senza problemi ed andiamo a telefonare, così a casa
si tranquillizzano. Le notizie sono sempre buone anche da lì:
Cena con gigot d'agnello: non pensavo di riuscire ad apprezzarlo
così, ma è veramente molto buono e non sa quasi nulla di montone,
pur essendo stato due settimane all'aria aperta a stagionare. Dopo
cena andiamo al club dopo aver firmato il guidone della società
Vela Arzignano, che verrà appeso insieme agli altri nel club: peccato
non avere con noi quello di Oceani 3000 (rabbia!!).
Resto fino alle ore piccole a parlare con Bertrand: è un po' hippy,
ma ha molta energia e determinazione.
Mercoledì 7/4/99 Puerto Wiliams _ Canale Beagle
Oggi si dovrebbe rientrare a Ushuaia, ma nella notte c'è stato
molto vento e il porto è chiuso. Così andiamo a piedi a vedere le
dighe dei castori, che si trovano verso W, lungo la strada costiera.
Andiamo con calma, tanto non c'è fretta. Sopra di noi vola qualche
aquila nera (Geranoetus melanoleucus, aguila mora). Abbiamo qualche
incertezza nel trovare il posto in questione, ma poi ci accorgiamo
che è molto facile da riconoscere: sono zone di foresta allagate
da cui spuntano solo i tronchi morti e scorticati dei vecchi alberi,
che per qualche ragione i castori non hanno abbattuto. E' circa
3 Km. più a W del porto, prima della discesa che porta a un ponticello.
Non vediamo i castori, che sembra che escano solo al tramonto. Su
molti tronchi ci sono i segni dei loro denti e l'impressione globale
è triste. Davide e io abbiamo preso una strada diversa e gli altri
gentilmente ci aspettano e ci indicano la strada tra i tronchi abbattuti,
i ruscelli e i laghetti.
Mentre torniamo incontriamo gli svizzeri della barchetta che è
andata all'Isola di Pasqua che vanno anche loro a passeggio. Visto
che sul "Micalvi" c'è una doccia ne approfittiamo e ci diamo tutti
una ripulita: era già da qualche giorno che Siv suggeriva con tatto
di usare l'acqua rimasta in barca per lavarci. Veramente non ci
sembrava di puzzare molto, anche perché col freddo non si suda e
l'aria à molto pulita, ma lo sporco c'era ugualmente. Infatti abbiamo
usato in media un bicchiere d'acqua al giorno per uno, che non è
proprio abbondante, e ciò per la barba e i denti. Va bene che tre
di noi hanno la barba, però...
Si termina il pranzo e il porto è ancora chiuso. Il vento cala
e il porto rimane chiuso; non sarà che l'ufficiale addetto se ne
è andato a zonzo a caccia o a pesca? Dopo una pennichella Davide
e io facciamo una passeggiata in paese. Le case dei civili sono
un immondezzaio, tutto diverso da quelle linde e ordinate dei militari.
Un paio di cavalli per la strada si mostrano molto diffidenti. Ci
sono falchi e aquile anche qui sopra. Al ritorno il porto è ancora
chiuso. Non c'è molto da fare. Le mete naturalistiche, laghi e torrenti,
potrebbero essere interessanti, ma sono lontane e non vogliamo perdere
tempo nel caso riaprano il porto. Le altre cose da vedere sarebbero
le vedette militari, nere e minacciose, ma figurati se sono visitabili!
Giocano a carte, il tempo passa lentamente. Alle 18,30 (le 17,30
locali) una nuova chiamata via radio di Bertrand porta finalmente
l'attesa notizia: il porto è aperto. Comprendo il desiderio di Bertrand
di lasciare definitivamente questi posti e andarsene dove la burocrazia
non rompa tanto!
Cominciano i preparativi: mi chiedono di predisporre i turni (sono
o non sono il capo gita?) e così stabiliamo di farli di due ore
e di due persone ciascuno. Inizieremo io e Mario, poi ci sostituiranno
Piero e Renzo e infine Roberto e Davide per poi ripetere, se necessario,
il giro. Arriva finalmente il funzionario della polizia che ci timbra
i passaporti per l'uscita dal Cile e rilascia anche il permesso
per la barca.
Molliamo gli ormeggi alle 20, prendiamo due mani di terzaroli alla
randa e accendiamo il motore, perchè il vento è contrario e abbastanza
sostenuto. Fuori è tutto buio. Ci sono squarci di sereno fra le
nuvole attraverso cui si vede la Croce del Sud e la fascia zenitale
della Via Lattea. C'è anche fosforescenza in mare. Mario fa il primo
turno di timone mentre io passo il tempo suonando l'armonica, tanto
non mi sente nessuno per il rumore del vento e del motore e comunque,
anche se Mario mi sente, non si lagna. Avanziamo tirando dei bordi
mentre Bertrand ci dice quando virare, controllando al rotta con
il solito radar. Non credo che la navigazione sarebbe facile con
altri mezzi: i fari sono pochi e deboli e c'è forte corrente. Ci
vorrebbe grande cura nei rilevamenti, inoltre il GPS non si può
usare facilmente perché le carte sono sbagliate come riferimenti
geografici, essendo state rilevate molto tempo fa. Lo sostituisco
al timone. Sono ben coperto e non ho freddo, né temo di bagnarmi
perché il mare è abbastanza corto e nello stesso senso della corrente.
Finito il mio turno faccio un breve spuntino e vado a stendermi
in cuccetta. Si balla molto, malgrado la barca sia molto stabile.
Impiego un po' ad addormentarmi, ma poi il sonno arriva: è la prima
volta che riesco a dormire a prua con la barca in movimento. Dormo
almeno due ore complete sogno di essere sollevato per aria, nelle
strade di Milano, e di andare su e giù, come se fossi sollevato
da un getto irregolare di aria, che però non sento sul corpo, e
questo mi dà fastidio non comprendendone l'origine né la ragione.
Tanto che, quando nel sogno compare un amico che mi domanda perché
me la prendo, mi secco di non riuscire a fargli capire il fastidio
che provo. Poi però il sogno cambia e diventa meno agitato, siamo
entrati in acque più calme?
Giovedì 8/4/99 Canale Beagle - Ushuaia - Buenos Aires
Vengono a svegliarmi alle 2. Siamo ormai abbastanza vicini a Ushuaia,
di cui si vedono distintamente le luci tremolanti. Avanziamo piano,
Bertrand dice che poco fa facevamo poco più di 1 nodo, così il nostro
secondo turno si completa quasi tutto prima dell'attracco, che facciamo
alle 4. C'è ormai poco mare, ma le raffiche di vento sono forti.
Ci siamo ormeggiati a una boa e andremo domani al pontile. E' ora
di andare a nanna.
Mi sveglio presto. Comunque alle 8,15 ci si anima perché alle 9
è atteso il funzionario per l'ingresso in Argentina. Ci spostiamo
lungo il pontile da dove eravamo partiti, alzando la chiglia per
la bassa marea. Di lì a poco completiamo le dovute pratiche. Ora
c'è calma di vento e quel po' di brezza viene da E. Il funzionario
è pignolo, ma non come quello che ci aveva gestito l'uscita. Che
rottura galattica queste pratiche burocratiche!
Il paesaggio è tutto diverso da quando siamo arrivati, molto meno
drammatico: fa caldo, i monti sono senza neve e gli alberi della
fascia più alta sui monti sono ormai tutti bruni. Andiamo a farci
assegnare i posti sull'aereo e a fare qualche acquisto, in attesa
di trovarci con Siv e Bertrand per un ultimo pranzo insieme al ristorante.
Le strade della città sono piene di gente, contrariamente ai primi
giorni della nostra permanenza: è l'effetto del sole e del caldo.
Le paccottiglie nei negozi di souvenir sono o carissime o di gusto
terribile o, come le magliette, banali, peccato!
Andiamo in barca per l'aperitivo, poi al ristorante, dove mangiamo
molto bene e in allegria. Facciamo un ultimo giretto, avendo accantonato
ogni idea di visitare ancora il parco nazionale a Lapataia, visto
che abbiamo tirato troppo tardi. Poi ci troviamo in barca per raccogliere
le ultime cose. Le valigie erano già pronte da questa mattina. Ultime
foto sul pontile e addii, con un po' di commozione e la promessa
di rivederci in autunno a St. Gervais.
Andiamo all'aeroporto dove cominciamo la lunga attesa e il lungo
viaggio di ritorno. La visibilità à buona e do' un'ultima occhiata
al canale Beagle, ignorando i cartelli sui prati dell'aeroporto
che dicono "prohibido pisar sur el cespede" (proibito pisciare sul
cespite?). Infine check-in e via. Purtroppo è sera e abbiamo solo
una fuggevole visione finale delle luci di Ushuaia e del lago Fagnano.
Facciamo scalo a Rio Gallegos e vediamo solo più le tenebre della
Patagonia disabitata. Orione a W si mostra a gambe in su e si corica
piano piano sul fianco mentre procediamo verso N. Arriviamo a mezzanotte,
stanchi.
Venerdì 9/4/99 - Sabato 10/4/99 Buenos Aires - Linate
Confusione per prendere i taxi e irritazione, ma presto siamo nello
stesso squallido albergo dell'andata. Poco male, risolviamo anche
un piccolo disguido con le camere evitando di misura un letto matrimoniale.
Dormiamo e facciamo anche la doccia. Utilizziamo la mattina per
un giro per librerie, nella speranza di poter portare con noi un
ricordo stampato dei posti visitati. Questo giro ci porta per le
strade pedonali che non avevamo visto all'andata, al contrario di
Piero e Renzo, e che sono piene di vita, anche se con i marciapiedi
sconnessi come credo siano in tutta l'Argentina. Io non trovo nulla
che mi piaccia, ma forse gli altri si. Mentre trovo gradevole la
città, benché molto, troppo popolata. Ci troviamo per tempo in albergo
e caricati i tassì e chiuse le ultime pendenze andiamo all'aeroporto
internazionale.
Laggiù è il caos. Una folla di persone riempie le are di check-in,
appartengono forse a un viaggio organizzato per pellegrini, fatto
sta che prima non ci comprendiamo e andiamo in due posti diversi,
poi ci dirottano verso un'area precisa, solo per sentirci dire che
il nostro volo è ritardato di 10 (diconsi dieci!) ore. Vabbé, resteremo
in aeroporto: nessuno ha voglia di tornare a Buenos Aires, che dista
circa un'ora di macchina. Riceviamo comunque dei buoni pasto e ci
dirigiamo direttamente agli imbarchi.
Passiamo il pomeriggio ammazzando il tempo con fatica, dopo aver
opportunamente avvisato casa del ritardo. Non è un aeroporto molto
grande né molto fornito. In compenso non ci sono neppure indicazioni
sui voli e le porte di uscita. Riusciamo a capire che hanno concentrato
tre voli in uno e calcoliamo che, con questo scherzo, hanno guadagnato
almeno mezzo miliardo. Quando finalmente viene il nostro turno ci
troviamo in un aereo gremito con hostess antipatiche e brutte. Viva
l'Iberia! Purtroppo la nostra illusione di poter fare un viaggio
comodo come l'andata svanisce subito. I sedili sono così ravvicinati
che non riesco neppure a distendere le gambe. Bisognerà che mi ricordi
di fare come Umberto, che chiede sempre i posti vicino alle uscite
di emergenza, perché sono più spaziosi.
Ci facciamo le nostre tredici ore di volo e arriviamo a Madrid
verso le 15. Avremo ancora da attendere fino alle 19. C'è tempo
per lavarsi, radersi, leggere, dormicchiare, fare un giro per l'aeroporto,
che è molto grande, e mangiare qualcosa. Infine viene il nostro
turno e partiamo, sia pure con un po' di ritardo. Questo è un volo
più comodo e con personale più gentile e carino, sempre dell'Iberia.
A Milano attendiamo a lungo i bagagli, ma quando usciamo i miei
sono tutti ad accoglierci, con i parenti di Davide, e ci fanno gran
festa. Siamo assai stanchi e in fretta, dopo gli ultimi saluti,
ce ne andiamo a casa. Ci rivedremo ancora per guardare foto e film
e rivivere la nostra crociera. Per il momento io sento di essere
ancora laggiù, e spero di rimanerci ancora a lungo...
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